Ultimo Urlo - Inviato da: Panzerfaust - Sabato, 02 Gennaio 2010 15:56
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La storia del Lupo

 .: La storia del Battaglione - parte 2a
 

.: Al fronte

La prima compagnia è in linea. (Tra i sottufficiali della compagnia va annoverato il serg.A.U.Gianni Gamba, anche autore di corrispondenze giornalistiche dal fronte, il cui nome non è stato citato nell'organico, per carenza informativa.) Questo accade ai primi di Gennaio, dopo che si è lasciata alle spalle Alfonsine. L'avvicinamento avviene come sempre di notte, i marò procedono in fila indiana. Raggiunta Ca' Bruciata si fa sosta e la notte successiva si raggiunge Prato-lungo. Poi ancora spostamenti fino all'argine del Senio dove viene assegnato il controllo di un tratto della linea difensiva. Guido Bonvicini, fratello del G.M.Attilio così scrive nel suo volume "Battaglione LUPO 1943-45" nel ricordare la partenza per il fronte : "Non c'è partenza senza canti : cantano gli alpini le loro gravi canzoni di solidi ragazzi, cantano i bersaglieri a passo di corsa. Noi abbiamo cantato a gola spiegata i nostri canti di volontari, in piedi sul camion, dopo che il Comandante aveva gridato per tre volte il nome d'Italia e tutti i marinai in un grido solo avevano ripetuto, altissimo, "ITALIA". Siamo venuti qui, perché l'Italia si può trovare oggi solo su questo fronte di Romagna. Chi di noi tornerà indietro si ricorderà dei compagni e di questa Italia che per vivere ha bisogno di rinnovarsi".

Questo testo apparve nel giornalino della compagnia, manoscritto al fronte da Franco Parravicini, in un unica copia, che passò di mano in mano a tutto il reparto. In linea non si può cantare. Non si può recitare a voce alta la preghiera del marinaio. Canti e preghiere ci rimangono dentro e servono mentalmente per i commiati che, lungo la linea del Senio, avvengono continuamente, giorno dopo giorno, e che traggono origine dalle perdite e dai ferimenti. E ognuno combatte dentro di sè una propria battaglia personale, nell'ambito e nel conflitto dei sentimenti e dei richiami famigliari, dell'amore e del dovere che è ancora amore perché la nostra presenza qui è un atto d'amore per la nostra terra. Ancora Guido Bonvicini : "...poi ancora dentro la testa di ponte di Alfonsine. Sosta di due giorni, guardia di notte con la pioggia, cannoneggiamento fitto. Di nuovo fuori dalla testa di ponte. Non grandi marce, sempre di notte, ogni notte la stessa cosa. I soliti riflettori tagliano l'orizzonte dal basso in alto, strade, campi, canali, buio, silenzio, fango .....tenere le distanze. Finalmente posta da casa, l'aspetto da un mese e mezzo. Solo ora conosco come è stato accolto in famiglia il mio arruolamento. Papà mi rimprovera, ma non troppo; mamma scrive "Raccomando a tutti e due di stare sempre uniti e di ricordarvi di noi che abbiamo sempre la mente con voi, e che il Buon Dio vi protegga." Dopo il tramonto arriva dalla linea un marò con un biglietto di Attilio. Mi annunzia di aver assunto il comando del terzo plotone, che ha perso in pochi minuti l'ufficiale e due capisquadra : "Il terzo è un plotone solido e qui nessuno s'è perso d'animo".

La Rossetta di Alfonsine (Ravenna). Avamposto
della 3a comp. del Lupo

Dal racconto di Carlo Rodriguez : "...Ci tiravano anche le bombe a mano, e probabilmente una di queste, oppure uno scheggione dei tanti che volavano, colpì Aldo Sannino alla coscia. La ferita era brutta perché il sangue veniva fuori a fiotti. Non ho mai visto una ferita sanguinare a quel modo: era una fontana che pulsava. In quella situazione non sapevamo come salvarlo. Allora abbiamo fatto una bandiera della Croce Rossa con un fazzoletto e col sangue; ci siamo alzati in due lasciando in fondo al fosso le armi, ci siamo tolti l'elmetto. I canadesi hanno smesso subito di tirare e quel silenzio improvviso ci parve incredibile. Nino Devoti, che era il più robusto, si caricò Aldo sulle spalle, attraversò la strada e qui si voltò a salutarci. Il sangue lo sporcava sulla faccia e sulla divisa e cominciò a salire per il sentiero che montava in alto di sghembo. Si puntellava forte ad ogni passo con quel peso addosso sull'argine ghiacciato, accennò a scivolare un paio di volte, arrivò sul culmine e sparì di là con Aldo". Dal racconto di Emilio Maluta, tratto dalla storia del battaglione scritta da G.Bonvicini : "A quella casa di Via Bellaria ero già stato la notte precedente insieme ad altri due per dare un'occhiata. Dopo aver attraversato con cautela i campi minati, siamo andati avanti dritti fino alla casa. Il nostro compito era solo di accertare se lì c'erano o no i canadesi. Feci cenno agli altri due di fermarsi e mi infilai tra la casa e un basso fabbricato che doveva essere il forno; mentre mi spostavo lungo una siepe mi sentii sventagliare da una raffica da molto vicino... Rimasi appiattito mentre altre raffiche mi cercavano e non potei muovermi per parecchio tempo... La notte seguente uscì una pattuglia comandata dal guardiamarina Edoardo Cuneo e anche noi tre ne facevamo parte. Niente di particolare per l'avvicinamento; il brutto cominciò quando arrivammo presso la casa perché i canadesi ci inquadrarono subito col tiro di due mitragliatori.

Ad un certo momento si sentì un rumore nuovo, il "tac" di un coso metallico che cadeva sulla strada e poi un rotolare che si concluse con uno scoppio vicinissimo. Erano le Sipe (bombe a mano a tempo) che quelli lanciavano e che, dalla strada in pendenza, venivano a finire nel nostro fosso. Alla prima seguirono parecchie altre, finché Gianni Oriani fu colpito da una scheggia alla bocca ed io sentii una botta poco sopra alla caviglia sinistra. Il tenente Cuneo ci disse che avrebbe tirato una bomba a mano e che, approfittando dello scoppio, avremmo tentato di sganciarci. Tirò la bomba e quella non scoppiò, noi ce ne andammo a sbalzi tra le raffiche e gli scoppi, io ultimo, zoppicando, su una gamba sola... Andate pure signor tenente, che io mi arrangerò a tenervi dietro". - ..Provai a muovermi e mi accorsi di essere molto debole; avevo il mitra, i caricatori, le bombe a mano, un panzerfaust, tutto un arsenale che mi impacciava;...piazzai il panzerfaust a portata di mano, e impugnai il mitra... Forse la notte non era nemmeno tanto lunga , e di giorno, se mi volevano venire a prendere, venissero pure che li avrei accolti come si deve.. .Dopo un tempo imprecisato, passato tutto nel silenzio, sentii un fruscio che veniva da dietro.. Sentii bisbigliare : "Emilio". Lo riconobbi subito era Bertellone (Gino Bertelli futuro professore all'università, insegnante di semeiotica medica). Gli avvenimenti e gli episodi si susseguono giornalmente con un ritmo incalzante. Il coraggio dei marò del "LUPO" non ha nulla da invidiare a quello dei canadesi che si trovano al di là della linea. Non esiste odio tra i contendenti, tanto che si possono annoverare esempi di generosità tra gli uni e gli altri. Ci furono scambi di parole e di oggetti nei brevi intervalli che la lotta cruda ed aspra poteva concedere, così come durante i combattimenti l'audacia e il coraggio non difettava a nessuno degli opposti combattenti. Diverso sarà il comportamento degli inglesi che si alterneranno al fronte.

Scrive il Comandante Dante Renato Stripoli : "E' probabile l'ipotesi che questo mio racconto non valicherà l'oceano e gli ex nemici che ci combatterono e che combattemmo con la vecchia cavalleria di un tempo, non sapranno che di essi abbiamo un ricordo fatto di ammirazione e di virile stima.. Onoro essi, i canadesi, nella fiducia che, fra i ricordi del lontano 1945, conservino inalterato quello del Senio, sulle cui prode molti di loro ed altrettanti di noi s'immolarono nella luce del dovere." E Stripoli, alla fine della rievocazione di eroismi e di eroi, parla per ultimo di Attilio Bonvicini, ufficiale della prima compagnia del battaglione LUPO, che fu ferito gravemente da una scheggia di mortaio durante un pattugliamento e che mori, e forse volle morire, poco tempo dopo la fine della guerra. Giorni e notti si susseguono in continuo stillicidio di vite umane per morte o per ferite. Spesso i feriti ritornano in linea abbandonando ospedali o infermerie. Quelli rimasti al fronte costituiscono un richiamo che deve essere ascoltato. Sono i pochi soldati italiani che ancora operano su un fronte che da un momento all'altro può mettersi in movimento e travolgere le già limitate difese. Però è sempre preferibile avere il nemico davanti, a viso aperto piuttosto che sentire la mano di un fratello che cerca di colpirti alle spalle, al riparo dell'anonimato. Al nord si intensificano nuovamente le fila dei resistenti che hanno possibilità di rifugiarsi, nei momenti difficili, nelle proprie case e poter ritornare alla guerriglia non appena le sorti della guerra lo.suggeriscono. Ne fanno le spese i marò che per qualche motivo tornano temporaneamente a casa in convalescenza o in permesso; così succede anche al G.M. Gandolfo Roberto, in licenza premio, che viene ammazzato mentre si trova a tavola, in famiglia. Dal diario di Attilio Bonvicini : 31 dicembre "Ho ritrovato una vecchia conoscenza. Erano passati quasi quattro anni dal primo incontro e il nostro congedo, alquanto violento, mi aveva lasciato nell'animo e nelle carni un profondo dolore. Nessun rancore però; ho imparato ad amare tutto ciò che è sofferenza. Mi venne incontro facendosi conoscere un po' alla volta; aveva l'aspetto di un tempo, la guerra".

Nello stesso giorno muore Lucio Sannino. Spartaco Zeloni, ufficiale della 3a compagnia, narra la vicenda del ferimento del comandante della compagnia stessa Mario Sannucci : "Stanotte, 6 gennaio, il Comandante con venti uomini attaccherà l'avamposto canadese "dei cecchini". I mortai danno fondo alla riserva di munizioni, martellando i paraggi dell'obbiettivo...La punta d'attacco, seguita da una squadra di rincalzo, dovrà portarsi alla base dell'argine, orientarsi bene, quindi incunearsi tra gli avamposti e la prima linea canadese, giungere sul rovescio dell'obbiettivo e attaccare di sorpresa. Passa un'ora, un'altra ora.. Una scossa sui nervi: i Bren hanno aperto un fuoco pazzo, a raffiche lunghissime. Si ode, distinto, lo scoppio di una grossa bomba... Un vago presentimento penetra nell'animo: i nostri sono scoperti. Un urlo di belva ferita a morte squarcia la notte. Un brivido scorre nelle vene , gela il sangue e tocca il cuore come potrebbe la punta di una lama. ...Menichetti e Monaco si offrono subito per tentare di soccorrere il ferito. Impossibile lasciarli, andrebbero anche loro incontro a sicura distruzione.. Trascorre un tempo incalcolabile.. Dal profondo delle tenebre, dalla zona dei campi minati sbucano i superstiti del secondo gruppo, coperti di fango fino ai capelli e irriconoscibili, narrano come inebetiti; in maniera sconnessa, i primi particolari del fulmineo scontro... il primo gruppo, coi due ufficiali in testa, è caduto nella trappola di una triplice postazione canadese, inspiegabilmente appostata su terreno scoperto.. .Un loro nido dev'essere stato distrutto dalla bomba anticarro del sergente G., ma i nostri devono essere tutti o feriti o morti. Verso le quattro del mattino, quando l'ultima speranza sta per svanire, Arduino chiama sotto l'argine. E' l'unico rimasto illeso e riconduce il Comandante Sannucci gravemente ferito, con un braccio spappolato da due pallottole e un polmone forato da parte a parte; è pallido, esangue, stoico. Con le poche forze che gli rimangono ci raccomanda di aver cura della compagnia. Arduino ha terminato il suo compito; pochi altri al suo posto avrebbero potuto fare tanto, togliere un uomo da sotto le canne dei Bren e farlo rientrare attraverso i campi minati. Cuneo ed io con manovra delicatissima, facciamo strisciare il corpo di Sannucci sui pali abbinati della passerella. Sull'altra sponda lo affidiamo ad altri. Ma i guai non sono finiti. Nel riattraversare la passerella Cuneo,.. scivola su un palo e con un tonfo casca in acqua. Lo vedo annaspare nella corrente del fiume per un momento e sparire nel buio. La temperatura è vicino allo zero.. corro alla ricerca del malcapitato. Aggrappato ad un cespuglio mugugna nel suo gergo di Portoria. "Una corda, presto, Cuneo è caduto in acqua " grido agli altri .Non c'è tempo da perdere, decidiamo di fare una catena.. tre corpi.. spenzolano verso l'acqua, finché una mano aggancia quella che si protende disperata.

Fronte del Senio, inverno 44/45, postazione
di mortaio del Btg. Lupo

La catena regge e l'amico è tratto in salvo.. lo costringiamo ad andare al comando, dove c'è il fuoco e un infermiere". Bayer Fabio (soprannominato ..."Aspirina"...un...coso lungo lungo che non riusciva a trovare una buca su misura) si lamentava col comandante di compagnia Zeloni (succeduto a Sannucci ferito) perché era solo nella buca, senza un compagno che gli potesse dare il cambio, ciò, probabilmente, perché il numero dei componenti del plotone era dispari. Se qualcuno lo andava a cercare sapeva di trovarlo nell' "ultima buca a destra". Altro riferimento era costituito dal fatto che avanzavano sempre dieci centimetri in più o di testa o di piedi oltre il livello del terreno. Ogni volta che capitava, il comandante lui rinnovava la richiesta di avere un compagno : "In due si soffre meglio; intanto ci si dà il cambio e poi se uno ti guarda le spalle, anche le frequenti cacatine, dovute a quel tremendo pane tedesco, riescono con più calma.. Insomma un compagno mi è proprio necessario". Fece così la prima esperienza con un "complemento" novellino... aveva sul braccio "un coso" con la scritta: "O Roma o morte". Al primo segnale . .sonoro... di guerra si accucciò nella buca raccomandandosi l'anima a Dio. Fu sostituito con un ragazzo toscano, giovanissimo, biondo, Menichetti. Aveva addosso lo stesso fango e gli stessi pidocchi degli altri, ciò che dava affidamento, e possedeva un orologio. Almeno si potevano fissare i turni di guardia. Una notte "Aspirina" si sveglia e non trova più il compagno che doveva fare la guardia. Sente, non molto distante, uno scambio di colpi e di esplosioni. Attimi di incertezza e poi un rumore sotto l'argine. Urla il "chi va là" e sente la risposta nell'inconfondibile accento toscano "O bischero, che ti prende? Ho passato l'argine per far loro una visitina. Non ci spareranno più dalla strada 'sti fessi, vedrai "pertica". Dice Bayer:" ..dire o scrivere "passare l'argine" è niente. Ma bisognava farlo, e da solo bisognava farlo per essere Menichetti." Dal racconto di Guido Bonvicini: "...(dopo aver saputo che suo fratello Attilio è stato ferito ad una gamba) "All'infermeria Attilio è steso su un materasso sopra la tavola. ..l'infermiere, con le mani sporche di sangue, sta fasciando la gamba.. Attilio mi stringe la mano.. Respira corto. Da tre giorni non lo vedo e lo trovo magro e pallido. Si lamenta ogni volta che l'infermiere, per passare la fascia di sotto, gli muove la gamba. La fascia si arrossa, un'altra benda.. Gli fanno una morfina. ..Mi prende la mano: Come soldato sono finito. Tocca a te continuare". Il tratto del fronte affidato al battaglione LUPO si trova nella zona compresa tra Fusignano e Alfonsine. La 1a compagnia è posizionata ad est di Fusignano, di fronte a Case Tesselli.

All'inizio la vita è durissima. La zona è battuta continuamente dai cecchini e dalle incursioni dei carri armati avversari. Si ottiene un miglioramento soltanto quando ha esito positivo l'operazione per la conquista dell'avamposto costituito da un gruppo di case sotto l'argine. La più vicina postazione canadese viene bloccata da un continuo lancio di cariche anticarro. "La cura del panzerfaust" così definita dai marò. La 2a è invece ad ovest del ponte di Fusignano, di fronte a Casa Costa. Ma la situazione è difficile e, dopo un vano tentativo effettuato nella notte del 16 gennaio per occupare posizioni che potessero limitare le azioni continue e pesanti dei canadesi, per le perdite in caduti e feriti la compagnia stessa è costretta ad abbandonare l'argine sud del Senio ed attestarsi su quello nord. La 3a invece occupa un tratto di linea esteso, in corrispondenza de La Rossetta, frazione di Alfonsine e riesce a portare a termine, nella notte sul 26 gennaio, l'occupazione di una fetta del territorio a sud del Senio. I tre plotoni della 4a compagnia mortai, alle spalle dello schieramento, effettuano un importante lavoro di interdizione e di appoggio alle altre compagnie. Qualche buon successo delle mitragliere antiaeree nel contrasto coi ricognitori avversari. Ma, alla fine di gennaio, gli effettivi dei reparti erano ridotti a meno della metà; le condizioni di impiego erano logoranti per la mancanza di turni di riposo. Il LUPO sul Senio è come un 'isola: " Siamo qui soli.." si legge in un appunto di quei giorni. Non sanno che altri reparti italiani, su altri settori del fronte, conducono ugualmente la loro disperata battaglia. Il tenente Spartaco Zeloni così racconta: ".. Le nostre mitragliatrici reagiscono con efficacia furiosa, dopo dieci minuti gli altri desistono e fanno marcia indietro. Piacevole sferragliare quello dei carri che se ne vanno. Ora provo una straordinaria felicità a muovere le gambe. I miei calzoni, tagliati nettamente venti centimetri sotto il cavallo, diventano oggetto di curiosità, le ferite su entrambe la gambe sono superficiali.

Vado all'infermeria per farmi medicare. Fasciato e coi calzoni rattoppati alla meglio, faccio ritorno presto alla Rossetta... A metà febbraio l'inverno spedisce dall'Appennino l'ultima sorpresa: tanti piccoli icebergs che, flottando sulla corrente, asportano le passerelle... Farcis e Montalbini sono saltati, al rientro da una pattuglia diurna, sulle mine anticarro ... siamo andati a prenderlo (Farcis) con la bandiera della croce rossa, ma gli inglesi (che si erano nel frattempo sostituiti ai Canadesi) hanno finto di ignorarla. . lo hanno colpito ancora, inutile crudeltà!". Luigi Sitia: "Il giorno del diluvio si avvicina. Bisogna fare ancora qualcosa nella vana illusione di arrestarlo. I capisaldi inglesi sono collegati fra loro per telefono. E' giunto un ordine del comando di compagnia. Abbiamo la paura che ci rosicchia le gengive ... Tiriamo le pagliuzze ....tocca ad Alberto B. ed a me...Un paio di bombe a mano, rivoltella, pugnale. Alberto prende anche le tronchesine... La notte è buia ...se quelli non hanno seminato altre mine il passaggio dovrebbe essere questo: e strisciamo come vermi.. Un po' più avanti vediamo nel buio una gran macchia biancastra: è la casa degli inglesi. L'ordine è tassativo : non farsi vedere. Ci vorrebbe altro che venissero a mancare altri due uomini, dicono al comando. Ed io approvo di tutto cuore. .Quattro ombre si muovono in mezzo alle piante... "Scommetti che sono i guardiafili ?" sibila lui.. Ancora pochi metri e lo vediamo (il filo telefonico)..."Ciack" fa la tronchesina ed io comincio a far su il filo. ..Curvi e neppure troppo badando a nasconderci.. rotoliamo su il cavo... Dopo una trentina di metri pensiamo che basti. Alberto completa lo scherzo con un biglietto compilato prima di partire, che infila alla metà troncata del cavo.

Disegnato a mano c'è il nostro stemma e il motto del "LUPO" "Fosse anche la mia purché l'Italia viva". Il numero dei superstiti si assottiglia giorno per giorno; gli uomini in linea non hanno più possibilità di contare sul cambio. Il G.M. Dino Caprilli decide di abbandonare gli avamposti; gli uomini vengono ritirati nella notte fra il 1 e il 2 febbraio, sguarnendo l'argine sud. Occorre però dare agli avversari l'impressione che il reparto è sempre al suo posto. Si provvede con ingegno. Vengono ritrovate delle camere d1aria per biciclette con le quali, fissati dei paletti nel terreno, si improvvisano delle efficacissime fionde che permettono di lanciare le bombe a mano oltre il Senio raggiungendo le postazioni avversarie. Anche David aveva fatto qualcosa del genere nei tempi biblici, con migliore fortuna.

 

.: Avvicendamento

Per il 20 febbraio si prevede il cambio. Guido Bonvicini dice : "Se fossi meno stanco sarebbe ora di fare un bilancio. Ma si può fare un bilancio di giorni e notti, neve e pioggia, freddo e sonno, sudore e paura? è un bagaglio ancora incomposto.... sento che l'asprezza della guerra ha aiutato il nascere, o forse soltanto lo scoprirsi, in me e in noi tutti, di qualcosa di vivo e di puro, forgiato dalla fatica e dal rischio, affinato dall'impegno di vincere, ciascuno di fronte a se stesso, la propria personale battaglia". Infatti verso la fine di febbraio del 1945 viene fatta comunicazione al comando del "LUPO", da parte dell'ufficiale di collegamento della Wehrmacht, che si sta appressando il momento dell' avvicendamento. Dopo circa tre mesi di fronte ci sarebbe stata finalmente una interruzione. Non era prevedibile quando il reparto sarebbe stato nuovamente impiegato, ma era assolutamente necessario riprendere fiato, anche per poter completare gli organici che avevano subito pesanti perdite. Dice il comandante Stripoli : ".. Non vi erano state grandi battaglie in cui il nemico deve alla fine farsi vedere, ma l'insidia di ogni istante, la lotta dell'uomo o di pochi uomini contro l'uomo o frazioni piccole di nemico, la guerra che imputridiva nelle buche insufficienti.

Ho configurato ed accennato particolari, identificati eroismi, ed ho taciuto gli eroismi non identificabili perché di ogni momento e di tutti: marò che con fionde lanciavano l'esplosivo sul nemico e si scoprivano per vedere meglio; uomini che correvano nella tempesta con l'ansia di arrivare ad ogni costo per recapitare l'ordine o rifornire il "Moloch" della guerra; discussioni per non essere esclusi dalla pattuglia. . piccole donne che raccoglievano feriti; feriti appena in grado di muoversi che disertavano l'ospedale e ritornavano al reparto, come si ritorna alla propria casa per morirvi; gruppi di assaltatori che, per costruire il successo, balzavano avanti alle tane che il nemico aveva provvisto di morte e venivano falciati". Lo stesso comando germanico, notoriamente avaro di elogi, fu costretto a riconoscere il coraggio dei marò del LUPO. Tra la fine di febbraio e i primi di marzo avviene l'avvicendamento previsto. Tutto si realizza nel più cauto dei modi. Si lascia il terreno che appare come una grande grattugia per i numerosissimi buchi causati dalle bombe nemiche. Si lasciano le tombe che in piccola schiera fanno la guardia alla chiesetta di Pratolungo, sulla cui facciata si può leggere ( ed è ancora visibile dopo tanti anni) il motto del battaglione: "...fosse anche la mia.. purché l'Italia viva" Tanti altri corpi di marò caduti non sono stati recuperati, spariti nelle fauci del mostro che si chiama "guerra". Il Battaglione giunge a Ferrara e finalmente non si odono più sibili, scoppi, fragori che hanno caratterizzato i tre mesi al fronte. Si assaporano le piccole gioie che la vita può offrire lontano dalla zona di operazioni. Con gli autocarri il "LUPO" si trasferisce prima a Vicenza e successivamente a Marostica per il periodo di riposo.

Qui la permanenza appare serena, la popolazione cordiale, ma una notte i soliti "coraggiosi ignoti", i partigiani che "hanno vinto la guerra" lanciano bombe nel parco automezzi ottenendo l'efficacissimo risultato di mutilare orrendamente un autista militarizzato (ex-partigiano piemontese). I marò si alternano nelle licenze a rischio della pelle perché, per la loro divisa, sono spesso nel mirino degli eroi dell'ultim'ora. Fatti questi che non possono permettere impunemente le "strette di mano" che da anni vengono sollecitate. Hanno ragione certi personaggi quando affermano che non possono essere posti sullo stesso piano i contendenti, e i loro caduti, nella vicenda inumana di quel periodo. I primi a condividere questa opinione sono i marò del LUPO che non accettano di essere paragonati a coloro che, nascondendosi nei boschi o nelle parrocchie, nei monti o in casa propria, dentro l'anonimato dei nomi di battaglia e degli abiti civili, in nome più dei partiti che della patria, (vedi "Porzus") hanno ammazzato, trucidato, seviziato giovani ventenni che si erano ribellati all'otto di settembre. Il racconto di Luigi Sitia, dal "Battaglione LUPO" di G. Bonvicini: "Vado a casa in licenza. Sono pieno di pidocchi, ma ho i gradi di sottocapo guadagnati sul campo... Milano. La gente cammina frettolosa e mi guarda storto. Io trotterello verso l'autostrada, dove mi hanno detto che si può trovare un passaggio per Torino.. Nessuno mi rivolge la parola, stanno tutti discosti, parlottano sottovoce ..Provo una gran voglia di tornare coi miei amici del battaglione e ripenso con nostalgia al fronte. Finalmente arriva un altro militare: è un bersagliere, attacchiamo bottone..."Se non ti sbrighi a buttare la divisa" mi dice con tono significativo "quelli là ti fan fuori " e indica i borghesi... Come Dio vuole sono arrivato a Biella... Nella strada grigia... c'è un assembramento di gente nera. Sono chini su qualcosa, parlottano. Quando si accorgono di me è un fuggi fuggi generale. Resta una vecchia che mi guarda con aria di sfida. A terra , in una pozza di sangue, una ragazza. Ha un colpo nella nuca, le gambe sconciamente divaricate. Un biglietto dattiloscritto è appuntato sulla gonna: "SPIA FASCISTA"... Rimuovo l'infamante biglietto e cerco di ricomporre la salma... Poi me ne vado con le mani imbrattate di sangue...". Quando Dino mi vede, scoppia in una esclamazione di terrore: "Cosa sei venuto a fare qui?. Ho capito, fratello mio, ho capito. Tornerò via subito, tornerò al fronte, dove si spara e si crepa combattendo faccia a faccia...". Bona e Giardini se ne vanno in licenza. Al loro viaggio di ritorno vengono prelevati dai partigiani assieme ad altri. Sono oggetto, per vari giorni, di pressioni perché disertino il reparto e passino tra le file della "Resistenza". Al loro rifiuto vengono uccisi il 15 aprile con una raffica alla schiena mentre si finge un trasferimento in altra sede. Il loro sangue si disperde in un campo di grano che si trasformerà in un altare sacrificale. Il loro comportamento ci lega inesorabilmente a un dovere morale per cui qualsiasi compromesso è da rifiutare con rabbia e con profondo dolore.

Il comandante De Martino, nel frattempo, passa dal battaglione LUPO al II° Gruppo di Combattimento Decima cedendo così l'incarico a Dante Renato Stripoli. Il 15 aprile si procede alla consegna delle Croci di Ferro al valore, presente il Comandante Borghese, e la cerimonia avviene nella piazza di Marostica. Le premiazioni si riferiscono ad avvenimenti segnalati ma si devono intendere estese a tutti i marò del LUPO e Borghese aggiunge che la Decima rimarrà in piedi fino all'ultimo. Molti dei feriti, ricoverati negli ospedali, rientrano al reparto suscitando interesse e gioia presso i commilitoni. Le nuove reclute si addestrano velocemente a contatto dei marò che si possono oramai considerare dei veterani. La primavera si affaccia con tutti i suoi richiami, e richiami vengono fatti anche da parte della popolazione che, con timidezza e tatto, cerca di convincere i marò a lasciare il reparto per salvare la vita. Ma la chiamata più importante non può andare delusa. Il LUPO ripartirà ancora per il fronte. A Marostica gli uomini del LUPO ritemprano le proprie energie. I complementi, necessari per colmare i vuoti, consentono al battaglione di poter essere pronto per un suo eventuale nuovo impiego. Tra il 20 e il 21 aprile viene data disposizione al battaglione di prepararsi per la partenza. Alle ore 18 del 21 il generale Corrado, già comandante di una brigata coloniale, reca il saluto della Decima al battaglione perfettamente schierato, in armi. Una colonna autocarrata tedesca è pronta a trasportare il LUPO verso le valli di Comacchio, dove già altri reparti del reggimento sono attestati per tentare una opposizione al nemico che avanza. Il G.M. Ermanno Franquinet, che si trova a Milano in licenza, riceve l'ordine di raggiungere il LUPO in partenza per il fronte. Sa che molti marò sono in licenza e che deve avvertirli perché non gli perdonerebbero di dover mancare al nuovo appuntamento. Con l'aiuto del fratello, addetto al Ministero della Cultura Popolare, ignorando ogni regola o gerarchia, riesce a far trasmettere da Radio Milano un appello ai marò, ai sottufficiali e ufficiali perché rientrino a Marostica.

La popolazione non riesce a comprendere come il reparto possa nuovamente andare al fronte e crede che invece si ritiri nelle Alpi. La cittadina improvvisamente è vuota. La gente osserva attraverso le persiane. Franquinet, con l'aiuto del cappellano militare don Bruno Falloni, improvvisa con la carta tante bandiere tricolori e ne tappezza i muri delle case, i cassoni degli autocarri. Qualche timido si affaccia alla finestra e chiede: "Dove andate?" La risposta: "Al fronte". Incredibilmente avviene quasi un miracolo. Improvvisamente la gente si riversa per le strade, circonda questo gruppo di italiani che, malgrado la situazione, si avvia nuovamente a combattere. Tutti offrono qualcosa, sigarette, vino, salumi, immagini della Madonna. Gli autocarri sono in moto, i marò del LUPO vi salgono perché non aspettano il destino, gli vanno incontro. Nel febbraio del 45 la Divisione Decima aveva avuto un nuovo assetto, essendo stata divisa in due Gruppi di Combattimento. Il I° gruppo comprendeva i battaglioni Barbarigo, LUPO e Nuotatori-Paracadutisti, il gruppo di artiglieria da campagna Colleoni e il battaglione genio Freccia, mentre il II° era costituito dai battaglioni Fulmine, Sagittario e Valanga, dal gruppo artiglieria Da Giussano e dal gruppo artiglieria da montagna San Giorgio. Il comando della divisione veniva affidato al Generale di brigata Uberto Corrado; il comando del I° Gruppo al Capitano di C. Antonio De Giacomo, quello del II° al Cap.di C. Corrado De Martino, già comandante del LUPO. Il II° Gruppo ha come destinazione il fronte in Romagna. Il LUPO deve ritornare sul Senio non appena possibile. Nel frattempo molti indizi fanno pensare che gli invasori intendano riprendere l'avanzata. Molti sono i rifornimenti in uomini e mezzi corazzati che metteranno gli alleati anglo-americani in condizioni di sferrare l'ultimo attacco finale. Una fonte ufficiale inglese afferma che gli alleati dispongono, sul fronte italiano, di circa 4.000 aerei, mentre i tedeschi hanno ritirato la loro flotta aerea per difendere la Germania e rimangono perciò solo un centinaio di aerei italiani, per lo più caccia, alle prese con difficoltà di vario genere, non ultima quella di reperire il carburante.

A metà marzo si avvia al fronte il Battaglione N.P., col gruppo artiglieria Colleoni, dislocato sul Senio a Lugo. Il Barbarigo invece viene aggregato inizialmente alla IVa Divisione Paracadutisti. Ai primi di aprile gli anglo-americani cominciano a muoversi e l'azione prende una dimensione tale da sorprendere il comando tedesco. Il Barbarigo viene tolto dal Senio e schierato tra Portomaggiore e Ostellato. I due battaglioni vengono così a trovarsi ai due lati del limite settentrionale delle Valli di Comacchio. Dal 9 aprile ha inizio la fase più importante del movimento che porterà l'armata alleata a dilagare nella pianura padana. Bombardamenti massicci dell'aviazione e delle artiglierie precedono le truppe e i mezzi corazzati. L'ultimo reparto della Decima ad abbandonare il Senio è il gruppo artiglieria Colleoni che quindi si ricongiunge col Barbarigo e gli N.P.. Il Btg. N.P. all'alba del 24 aprile riesce a respingere una colonna esplorante inglese che si era addentrata nell'Isola di Ariano. Quasi contemporaneamente il Barbarigo viene impegnato, nella zona di Santa Maria in Punta, dal 21° fanteria Cremona e lo respinge con un contrattacco. Sul Po, dal 23 aprile, si trova il Btg.LUPO che attende gli altri reparti della Decima, il Barbarigo, gli N.P. il Colleoni, il Freccia. Il 25 aprile il comandante tedesco Generale Conte von Schwering si arrende al 27° Lancieri inglese, perché 'tnon aveva più truppe sotto il suo comando". Carlo Rodriguez: "Il giorno 22 ci fermammo ad Adria... Durante la notte conoscemmo la nostra precisa destinazione: la riva sinistra del Po a Bottrighe. Ci mettemmo in marcia verso le due.. mentre procedevamo in direzione sud incrociavamo una gran massa di fuggiaschi: erano i resti della 162a Divisione Turcomanna. . .tutti cercavano di farsi largo e superarsi Gli aerei si buttavano come falchi a mitragliare i fuggiaschi... Con questo spettacolo davanti agli occhi gli uomini del battaglione LUPO marciavano ordinati per prendere posizione sul Po". Lo schieramento si attua regolarmente fra gli abitati di Bottrighe e Cavanella.

Fronte del Senio, casa adibita a Comando

La 1a compagnia in corrispondenza di Bottrighe, la 2a al centro, la 3a all'estremo est dello schieramento. Il comando a Mazzorno Sinistro, i plotoni mortai a tergo dei fucilieri a distanza minima. Il settore è completamente sguarnito e quindi non c'è nessun cambio. Giorno e notte si assiste a un continuo carosello degli aerei che mitragliano ogni cosa in movimento. Le mitragliere antiaeree fanno del loro meglio ma la preponderanza nemica non è contrastabile. Cominciano a giungere sulla riva sinistra del fiume i reparti della Decima. Nel frattempo si susseguono trasbordi, su zatteroni, di uomini e di mezzi che non si fermano a fianco del LUPO, sono i tedeschi in ritirata. Il giorno 25 termina il completamento dei reparti della Decima. Alcuni marò del LUPO stanno per affondare un barcone, che non doveva servire per traghettare il nemico, quando si sentono delle grida al di là del fiume: "Decima! Decima ! Aiuto!" Qualcuno sale sulle barche e attraversa il corso d'acqua per portare di qua qualche ritardatario. Si sente una sparatoria appena le barche si trovano a pochi metri dalla riva opposta. Non servono tanti colpi per ammazzare i due fratelli Rossi e il giovane Piero Menichetti. Un vile tranello. Alla sera del 25 il comandante Stripoli viene convocato dal comando del gruppo dislocato in Adria. Viene a conoscenza della decisione di attestare il gruppo sulla riva sinistra dell'Adige, nella zona di Cavarzere. Il trasferimento avviene non senza difficoltà per la violenza dell'aviazione avversaria. Non è facile trovare un traghetto ma si riesce a trovare una fetta di ponte che permette il passaggio almeno a una compagnia, dopodiché il relitto cade completamente. Il carosello degli aerei è incessante; non solo di giorno, ma anche, di notte con l'aiuto di bengala e fotoelettriche, si assiste a un continuo bombardamento e mitragliamento di uomini e mezzi di trasporto. La confusione è sempre più grande tra i reparti che si ritirano. Ma nemmeno sull'Adige è possibile creare difese. La rotta è oramai completa e soltanto il gruppo Decima si ritira in ordine.

Il Battaglione N.P. si dirige verso Venezia dove giungerà forzando blocchi attuati dai partigiani dell'ultima ora. Attraverso il Canal Grande si trasferisce a S.Elena nel collegio navale Morosini dove si trincera in attesa degli alleati anglo-americani ai quali si arrende dopo aver inutilmente trattato la resa coi partigiani. Il resto del gruppo marcia in direzione di Conselve dove fa sosta per far riposare gli uomini. Nel frattempo comincia a piovere. All'alba si riprende la marcia e a tratti si fa vedere il sole. Nino Devoti intona una canzone, "La mula de Parenzo ga messo su bottega..." e tutti, compreso il comandante, si uniscono alla sua voce. Il comandante Stripoli ricorda il fatto e dice: "Quando mai truppe in ritirata, ignorando la fame, la stanchezza e la sciagura della sconfitta delle armi, avevano avuto l'animo tanto sereno da abbandonarsi al canto? unii la mia voce alla voce dei marinai". Il battaglione giunge, assieme agli altri, ad Albignasego, quasi alla periferia di Padova. Passano, in attesa, molte ore.

 

.: La fine

E' quasi notte quando appaiono i mezzi corazzati nemici. Il comandante De Giacomo tenta di far deviare i reparti verso Abano. Ma dopo pochi minuti una staffetta in motocicletta riferisce che la strada è bloccata e che i tedeschi depongono le armi. Le fotoelettriche si innalzano da tutte le direzioni. I reparti sono circondati. Gli ufficiali si riuniscono, dopo una richiesta di resa, e decidono di accettarla. Voler proseguire costituirebbe un inutile massacro. I marò non sono altrettanto convinti e in molti c'è la volontà o di aprirsi un varco o perire. Si fatica a calmare i più recalcitranti che avevano abbandonato tutto, fuorché le armi, per l'ultimo scontro. La colonna nemica è formata da neozelandesi i quali invitano gli uomini a concentrarsi in un campo e a mantenersi uniti. Viene effettuata per l'ultima volta l'assemblea dei battaglioni. Si rassettano le uniformi, si posano le armi davanti ai plotoni, con gli ufficiali che precedono il proprio reparto.

Il I° Gruppo di Combattimento Decima si schiera in quadrato con aperto un lato ad est. E' una visione che ha dell'irreale, le fotoelettriche illuminano la scena mentre da tutti i visi traspare una grande emozione. E' la fine. Il comandante De Giacomo saluta i vincitori, rappresentati da ufficiali neozelandesi, poi si rivolge ai battaglioni schierati. Ricorda i caduti, i feriti e soprattutto che è stato l'onore il motivo della scelta di continuare la lotta. Poi il suo saluto "Decima Marinai! Viva l'Italia!" e la risposta altissima "Decima Comandante! Viva l'Italia!" Due fotoelettriche creano, con i loro fasci di luce incrociati, una gigantesca X, il segno della Decima che non sarà più dimenticato. L'ufficiale neozelandese porta una mano alla visiera per salutare i vinti. Nella notte tra il 28 e il 29 aprile del 1945 il battaglione LUPO, con gli altri reparti del I° gruppo di combattimento, cessa di esistere come unità militare. Altri avvenimenti devono ancora essere vissuti, la cerimonia della sfilata, la deposizione delle armi, i primi contatti con coloro che intendono insegnare col metodo della... violenza il nuovo ordine democratico. Saranno le stesse sentinelle a vigilare sulla incolumità dei prigionieri. A un indiano che arma il suo Tompson ne viene chiesta la ragione, mentre alcuni scalmanati tentano di aggredire il camion ove sono assiepati i marò. La risposta, attraverso l'interprete Bidoli: "Difendo le persone per bene." La colonna degli autocarri comincia il viaggio lungo la penisola. Tappa di qualche giorno ad Afragola, vicino a Napoli; quando i prigionieri lasciano questo campo per dirigersi verso la stazione ferroviaria, effettuano a piedi il tragitto, a passo di parata, suscitando stupore e ammirazione nella popolazione. Giunti a Taranto, i prigionieri sono successivamente imbarcati alla volta di Algeri, per essere rinchiusi nel 211 Camp. P.O.W. Durante tutto il periodo della prigionia i rapporti tra i marò del LUPO non si interrompono, il comportamento è ancora di fierezza, malgrado le vicissitudini e le difficoltà.

Il 2 Novembre 1945 il comandante Stripoli, anch'egli tra i fili spinati, indirizza un messaggio di saluto ai prigionieri per ricordare tutti i caduti del Battaglione: "Ai Camerati del LUPO". "Il 2 novembre 1944 il Battaglione ebbe l'ordine di infrangere le resistenze avversarie e di penetrare in Alba per restituirla al governo della Repubblica. Nel crepuscolo mattutino il Tanaro fu attraversato. Furono poi raggiunti Roddi e Cantine di Roddi ove le compagnie si ordinarono per l'attacco. Vi era una gran pace nell'aria e, fra il verde dei campi - laggiù -s 'intravvedeva Alba, silente e bianca. Repentinamente la pace ed il silenzio furono rotti dal ticchettio delle armi automatiche nemiche. La "signora morte" era ancora una volta presente! Ma chi se ne preoccupava? Dodici ufficiali e marò del LUPO erano già caduti in analoghe azioni: nessuno di essi aveva titubato! Nelle prime ore del pomeriggio Alba fu occupata ma all'appello non rispose la voce di un nostro camerata! La "signora morte" aveva voluto il suo tributo di sangue: nel manipolo dei caduti si era colmato un vuoto. Poi fu la partenza per il fronte, attesa spasmodicamente da mesi. Il manipolo dei Caduti diventò quasi una centuria che non diminuì i ranghi del Battaglione ma ne accrebbe il vigore e la decisione. Nomi? Eroi! Eroi il marò e l'ufficiale, l'uomo addetto ai servizi ed il combattente di primissima linea. Furono tutti Eroi coloro che caddero per l'onore della Bandiera! Due Novembre 1945. E' la giornata di coloro che non ci sono più. Ma i nostri camerati morti per la Patria, sono ancora e saranno sempre una realtà palpitante nel cuore di noi sopravvissuti. Altrimenti perché sarebbero caduti? Oggi le loro tombe, disseminate ovunque vi fu lotta, non riceveranno, forse, l'omaggio di un fiore! Ma che importa? I loro spiriti sono al di fuori delle tombe e ci riconoscono: vi è tanto amore e tanta fierezza nel pensiero che ad Essi noi rivolgiamo! Giorno verrà che il loro sacrificio sarà ammesso e riconosciuto da chi oggi si compiace della pace vergognosamente mercanteggiata.

Marò del LUPO, potete dubitarne? Decima ! miei camerati nella lotta nella fede e nella speranza !" T.V. D.R.Stripoli Questo volantino, manoscritto personalmente dal comandante, fu fatto circolare all'interno del 211 P.O.W. Camp di Algeri. Innumerevoli le angherie e i soprusi da parte degli inglesi preposti alla vigilanza del campo. I prigionieri vengono defraudati di tutto quello che possiedono, dagli orologi agli anelli, dal denaro alle cose e oggetti personali. Vengono sfilate dai portafogli le foto dei famigliari, gettate con scherno a terra, spiegazzate e distrutte sotto le scarpe. Con sistematica crudeltà vengono propagate le notizie più contraddittorie e maliziose. Si parla di nuovi trasferimenti verso l'America o di ritorni in Italia. La posta non arriva che rarissimamente. La minima scusa è sufficiente per privare i reclusi della prevista razione di sigarette. Le sigarette "V" sembrano flauti per i fori della carta che si devono turare con le dita per poter aspirare il fumo. Il pane è scarsissimo. L'acqua assolutamente insufficiente ( due rubinetti aperti per due ore al giorno ogni mille persone). La razione giornaliera di alimenti è al limite più basso tanto che i dimagramenti sono vistosi, si diffondono malattie per carenze alimentari. Tutte le segnalazioni e le istanze fatte dai medici prigionieri vengono regolarmente ignorate dalle autorità alleate. Ad un certo momento si instaura un rapporto di scambi con gli arabi che lavorano nei campi a breve distanza dai recinti di filo spinato. Viene venduto a loro tutto il possibile, dalle camicie alle zanzariere, dai pantaloni alle giacche, alle coperte, in cambio di fichi secchi, pasta di datteri, banane tostate e sigarette (le immonde sigarette algerine che odorano di tutto fuorché di tabacco). Qualcuno tenta la fuga ma la maggior parte dei fuggitivi viene ripreso con la complicità degli indigeni, ricompensati con premi in denaro. Una taglia molto ambita dalla popolazione locale. Poi finalmente nel febbraio del 1946 si ha comunicazione del rientro in patria. I prigionieri devono smontare gli attendamenti e sono costretti a passare l'ultima notte all'aperto in attesa dell'imbarco. Si arriva a Taranto il 13 febbraio.. .ma qui ancora filo spinato, ancora fame, ancora angherie.

Fronte del Senio, marò del Lupo armati di Panzerfaust
attendono i carri nemici.

Vari episodi di violenza nei confronti dei prigionieri fanno maturare l'avvenimento finale, lo sfasciamento del campo e la temporanea cattura del comandante inglese. Lo spunto viene dato dal ferimento di un marò all'interno del campo "R" (recalcitranti) mentre tenta il recupero del pane che gli è stato gettato attraverso i reticolati. La notizia si diffonde con rapidità, qualcuno riesce a scuotere la massa usando un megafono e in breve tempo i recinti interni vengono rapidamente divelti. Entro le ventiquattr'ore successive il colonnello inglese deve comunicare la sua decisione sulla vicenda. O provvede lui alla liberazione oppure la sommossa proseguirà. Nessuna comunicazione viene fatta. Il campo lentamente si svuota. Taranto accoglie a braccia aperte i prigionieri aiutandoli in tutte le maniere possibili, con gli interventi di ogni autorità, da quelle religiose a quelle civili e militari. Di questa accoglienza viene mantenuto il ricordo per lunghi anni fino a che, su iniziativa del cosiddetto "Rasputin", l'animatore della rivolta, una rappresentanza dei prigionieri del campo "5", il campo della fame, ritorna a Taranto per ringraziare la cittadinanza e gli enti pubblici, ricevendone una nuova meravigliosa accoglienza. Ma il "LUPO" ha un altro motivo di interesse per il recente incontro con la città "Bimare"; ha ritrovato, anche se nel frattempo è deceduto, il proprio Cappellano Militare Don Bruno Falloni, la cui tomba è posta nel cimitero del vicino comune di Pulsano. Per anni era circolata la notizia che il sacerdote avesse terminato la sua esistenza per mano fratricida. Ora la nipote, la signora Dina Turco, ha un motivo in più per portare a termine il suo progetto di un libro che narrerà le vicende dello zio Don Bruno. A questo punto la storia del LUPO, l'incredibile storia di questo reparto della Decima Mas, si può considerare conclusa, ma non è esattamente così. E' difficile e talvolta pericoloso il rientro alle proprie case. Ermanno Franquinet, ufficiale addetto alla stampa, così conclude, in maniera emblematica, un suo racconto: "Poi sarà la Via Crucis dei campi di concentramento, di transito, Ravenna, Ancona, Afragola, Algeria, il campo di Taranto, la vita alla macchia per attendere la fine di un processo che confermerà quanto mi aveva risposto la coscienza. E poi ancora cento porte chiuse, cento mestieri per ricominciare da zero, tutto da capo".

Emilio Maluta, dopo aver lavorato nello stabilimento elettrosiderurgico Tassara, in Vallecamonica, per 11 anni, come assistente per la lavorazione dell'acciaio, seguendo i tre turni, mattino, pomeriggio e notte, con impegno e serietà, in un momento di difficoltà dell'azienda viene chiamato dal direttore che gli dice testualmente: "Noi dobbiamo licenziare parte del personale, lei è il primo perché è stato "uno di quelli"" riferendosi al suo passato di "repubblichino". Nel settembre 1970, a Milano, a distanza di 25 anni dalla fine della guerra, si può essere denunciati e processati per aver cantato in pubblico l'inno della X MAS come capita a Isaia Pietro ed al figlio Antonio. Superati i primi momenti difficili e gli ostacoli che i marò, ritornati alla vita civile, sono costretti ad affrontare, ecco che un filo riesce a raggiungere i sopravvissuti, un filo d'amore, di fratellanza, di solidarietà. Si alternano nel tempo alcuni marò col compito di rintracciare i commilitoni. E un po' per volta si ritrovano, si riuniscono col preciso programma di ricordare e onorare i fratelli caduti, di aiutare, anche se modestamente, i marò che si trovano in difficoltà. Una prima piccola lapide viene posta nella cripta della Chiesa della "Madonna degli Alpini " a Bòario Terme, anche se l'inaugurazione avviene in un momento difficile, nei giorni immediatamente successivi all'attentato in Piazza della Loggia, a Brescia. Ma attraverso questi ritrovi, i raduni che si ripetono con frequenza, prende corpo a poco a poco il desiderio di affidare ai più giovani quella fiaccola ideale che ognuno ha nel proprio intimo. Il senso dell'onore e dell'amor patrio che nel volgere di questi anni sembrano perdere ogni valore. Si assiste alla distruzione dei principi morali che hanno caratterizzato la nostra formazione e si cerca allora di vivificarli comunicando ai giovani, che scarsamente ci conoscono, lo spirito che ci ha animato nell'affrontare scelte difficili e impopolari, ma che ci concede, dopo tanto tempo, di poter camminare ancora a testa alta, senza rimorsi e senza tentennamenti. E' ancora la gente del "LUPO" a determinare la posa della lapide alla Piccola Caprera, su idea di Girometti, del Colleoni. E' ancora uno del LUPO, Vagliani, a riproporre la rinascita dell'Associazione Combattenti Decima, che aveva subito difficoltà con l'esilio del Comandante.

Gente del LUPO realizza il raduno al Varignano assieme ai fratelli del Barbarigo, il quale nel frattempo si è ritrovato con entusiasmo riuscendo nell'intento di creare il "Campo della Memoria", che sta diventando Cimitero di guerra dei caduti della R.S.I. E infine ancora il LUPO riesce a organizzare la bellissima cerimonia di ringraziamento alla città di Taranto per gli aiuti e assistenza ricevuti nella vicenda del campo "S" di concentramento. Piero Operti, nella sua lettera al Comandante Junio Valerio Borghese dice: "Lei ha scritto il racconto della Decima del mare durante la guerra regolare: ora deve scrivere quello della Decima terrestre nella fase più tragicamente difficile del conflitto. Sarà un libro oggi non pubblicabile, ma deve scriverlo per il popolo italiano futuro... Sono certo che il secondo libro, che attendo da lei come italiano e come cultore di storiografia, quando potrà venir diffuso non lascerà indifferenti i nostri giovani il cui cuore non sia soltanto un organo fisiologico. Nessuno meglio di Lei può fissare per il tempo a venire le imprese dei Suoi Volontari ebbri di un sacrificale amore; e la tradizione di uomini d'arme fattisi storici di eventi vissuti, ha nella nostra cultura, precedenti illustri fin dall'antichità più remota..." Noi sappiamo che il Comandante aveva effettivamente iniziato a comporre l'opera che Operti gli suggeriva. Purtroppo gli eventi che il Principe ebbe a subire gli impedirono di portarla a termine. In una lettera scrisse che "Il Battaglione LUPO", scritto da Guido Bonvicini nel frattempo, gli sarebbe stato molto utile nella elaborazione del suo libro che stava preparando. Possiamo dire di aver potuto prendere visione di questo suo lavoro, ovviamente incompleto. Scrivemmo anche ai figli del Comandante invitandoli a sollecitare il completamento del lavoro iniziato (vedi nostra lettera riportata nel volume "L'onore delle armi alla Decima Mas" di De Micheli) e ne ricevemmo assicurazione su una futura possibile pubblicazione. Oggi i libri, le pubblicazioni, le trasmissioni sulla Decima non si contano più. Ci rimane il dolore di non aver potuto dare diffusione a quanto il Principe Junio Valerio Borghese si era proposto di far conoscere all'Italia.

Questa non pretende di essere la storia completa del Battaglione LUPO. Guido Bonvicini ha fatto prima di me, col suo volume, il racconto dettagliato delle vicende del reparto al quale ho appartenuto. Questo libro verrà prossimamente ristampato e completato con numerose foto e documentazioni. Qui si è voluto tratteggiare sommariamente un breve squarcio di quanto i marò vissero in un periodo della patria tanto drammatico. A oltre cinquant'anni di distanza molti di noi non possono più unire la loro voce al nostro canto, ma sono presenti nella nostra fierezza, nella nostra dignità e nel nostro orgoglio di italiani. A conclusione vogliamo riproporvi il motto del battaglione LUPO, motto che fu promessa indiscussa e accettata dall'ultimo marò al primo ufficiale, motto che resta testimonianza, dal primo all'ultimo caduto, che ci vieta qualsiasi abominevole compromesso, nonostante la "furbata" del presidente della camera all'atto del suo insediamento. "....FOSSE ANCHE LA MIA.... PURCHE' L'ITALIA VIVA..."

 

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