Ultimo Urlo - Inviato da: Panzerfaust - Sabato, 02 Gennaio 2010 15:56
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La storia del Lupo

 .: La storia del Battaglione - parte 1a
 

.: Introduzione

L' otto settembre del 1943 è una data che apre il periodo più drammatico della recente storia d'Italia, anche se intensamente tragico è quello della guerra che lo ha preceduto.

Badoglio dice:" La guerra continua!" Il venticinque luglio il maresciallo Badoglio, nell' assumere il comando della nazione, dichiara che la guerra continua a fianco dell'alleato tedesco, ma non dice la verità su due cose importanti: che il suo incarico ha origine dalla carcerazione di Mussolini e non dalle sue dimissioni spontanee e che l'armistizio è già oggetto di trattative; ma più che di un armistizio si tratterà di una vera resa senza condizioni. Infatti l'esercito anglo-americano proseguì nella sua marcia di occupazione (cosa che nemmeno Hitler fece in Francia) e continuarono sistematicamente i bombardamenti delle città italiane anche prima della liberazione di Mussolini e della costituzione della Repubblica Sociale Italiana.

La disonorevole consegna delle navi militari italiane al nemico costituì l'unico ordine concreto che il governo Badoglio emanò in quella triste circostanza. Furono assolutamente dimenticati le migliaia di soldati che in patria e all'estero furono costretti alle scelte più difficili ed esposti alle comprensibili reazioni e rappresaglie tedesche. Nemmeno la Decima Flottiglia Mas, che stava preparando arditissime azioni contro il nemico e che della marina faceva parte, ebbe notizia dell'avvenimento, se non casualmente dalla radio.

Tutto ciò è ormai ampiamente risaputo ma è necessario ricordalo per poter meglio comprendere come e perché tanti giovani italiani abbiano cercato di unirsi a qualche reparto che andava al fronte (magari anche vestendo la divisa tedesca) per opporsi allo straniero che stava invadendo il patrio suolo. Il caso limite può essere ritenuto quello dei figli di italiani all'estero (anche per motivi politici come gli emigranti in Francia), che si offersero volontari per l'ONORE D'ITALIA.

Ben presto si diffuse la notizia che la Decima Mas, a La Spezia, non aveva ammainato la bandiera e coloro che avevano in coscienza rifiutato un fatto tanto disonorevole come la resa, si rivolsero a questo reparto che assicurava, per accordi precisi coi tedeschi, la divisa, la bandiera e la giustizia italiane. Passarono pochi mesi e i volontari raggiunsero le decine di migliaia favorendo in breve tempo la costituzione di Battaglioni di Fanteria di Marina che assunsero i nomi di unità navali affondate o distrutte in guerra. Nel contempo molti altri giovani volontariamente rispondevano alla chiamata alle armi in altri reparti.

 

.: A La Spezia si forma il Lupo

Completato l'organico del Btg. "MAESTRALE", che prenderà successivamente il nome di "BARBARIGO" e che sarà il primo reparto della Decima a essere utilizzato al fronte Sud, poiché i volontari continuano ad affluire copiosamente (costringendo il Comando a notevolissimi sforzi logistici) viene pianificata l'organizzazione di altri battaglioni di fanteria di marina. Tra questi il Battaglione "Lupo".

Il capitano di corvetta Corrado De Martino, sommergibilista più volte decorato al valore, che si trovava a Venezia, all'Arsenale Militare, si presentò a La Spezia ove gli venne affidato il comando del Btg. Lupo in via di costituzione. I primi quattro arruolati provenivano da Venezia: Maluta, Galletti, Salvaderi e Giliberto. L'11 gennaio 1944 alle ore 10, nella caserma di S.Bartolomeo nacque formalmente il Battaglione col nome della torpediniera "LUPO", che era stata affondata. Le sartine, addette alla confezione delle divise, ricamarono l'insegna disegnata da Maluta, che ne scelse anche il motto; da una parte, su fondo rosso, una testa di lupo e dall'altra il teschio con la rosa rossa tra i denti e la dicitura : ". fosse anche la mia... purché l'Italia viva...." I volontari erano giovani che provenivano da vari strati sociali; molti avevano interrotto gli studi, ma affluivano anche militari e ufficiali con alle spalle esperienza di guerra.

Marzo 1944, il Btg. Lupo a La Spezia

A completare l'organico del LUPO giunse a La Spezia una compagnia di "marò" con la divisa grigioverde del "SAN MARCO,,. Proveniva da Jesolo ove i volontari erano giunti in prevalenza dal Veneto e dalla Romagna. Era un reparto già molto affiatato che costituì la IV compagnia" La Serenissima" per la quale le giovani donne veneziane avevano ricamato il gagliardetto col motto "Saldi in pope". Successivamente molti di quelli di "Jesolo" furono assegnati alle altre compagnie dove trasferirono, assieme allo spirito canterino, anche il carattere un po' rivoluzionario, così pieno di entusiasmo, di fratellanza e di amor di patria, che si era formato nella caserma del "San Marco", a Jesolo, ove si era realizzato anche un nuovo rapporto di dignità tra ufficiali, graduati e marinai, per cui i gradi evidenziavano soltanto una diversa funzione e non una condizione di superiorità.

San Bartolomeo, Aprile '44, il gagliardetto del Btg. Lupo

Attilio Bonvicini, ufficiale gravemente ferito in Albania tanto da essere giudicato invalido al 100%, che aveva lasciato il convalescenziario di Stresa per arruolarsi, così scrisse nel suo diario :"..eppure in questo reparto è nato spontaneamente uno spirito di corpo quale mai mi era stato dato di vedere nei reparti pur saldamente costituiti..". Il com.te Dante Renato Stripoli, che si alternò, nel comando del LUPO, al com.te De Martinò, ebbe a scrivere :". . .ho il ricordo di molti e molti reparti in cui ho militato o che ho comandato, ma un ricordo sovrasta tutti i ricordi: il ricordo del mio battaglione LUPO". All'inizio il battaglione fu composto da una compagnia comando, da tre compagnie fucilieri, da una compagnia armi pesanti oltre ai servizi per un totale di circa mille uomini. Il battaglione, nell'attesa di partire per l'addestramento, ebbe a subire le prime perdite nel marzo del '44, quando, bloccato un treno viaggiatori a Valmossola, i partigiani uccisero i guardiamarina Canotti e Pieropan dopo aver infierito ferocemente sui loro corpi evirandoli.

 

.: Addestramento in Toscana

Il 16 aprile 1944 il Btg." Lupo" partì da La Spezia e raggiunse in treno la Toscana dove ebbe inizio l'addestramento, agevolato dai tedeschi della divisione "Hermann Goering". Da qui avrebbe dovuto raggiungere il fronte sud per dare il cambio al "Barbarigo" che aveva già avuto il battesimo del fuoco a Nettuno. Nei paesi della provincia pisana i marò ebbero modo di curare la propria preparazione al combatti-mento e in breve tempo impararono a muoversi, a scavare postazioni, ad agire in silenzio, a correre sotto il fuoco, a strisciare per terra, a mimetizzarsi.

Aprile '44, partenza del Lupo per la
zona di addestramento

Tutto ciò senza le armi che giunsero successivamente e che delusero per 1' anzianità di servizio dei vecchi fucili '91 e dei mitragliatori Breda 30. Ma la deficienza dei mezzi fu compensata dalla iniziativa, dalla volontà e dall' entusiasmo dei marò che erano accorsi spontaneamente con lo scopo di difendere la propria terra. I canti vecchi e nuovi completarono l'affiatamento nei vari reparti e la loro esecuzione, che avveniva soprattutto al tramonto prima della lettura della "Preghiera del Marinaio", richiamava i paesani che numerosi andavano ad ascoltare. Scrisse il giovane serg.A.U. Pietro Bianucci, nel giornalino della quarta compagnia :"... Ma se la mia penna non ha voce e non ha lacrime, ha però un CREDO. Il nome di ITALIA. E questo credo supera la mia stessa vita, la vita di tutti noi che qui, ogni sera, preghiamo cantando. Vecchi marinai che tra le rughe del viso hanno il profumo salmastro del nostro meraviglioso mare, marinai giovanissimi che negli occhi hanno ancora la poesia dei fiori e dei baci. E tutti pregano. E dalle loro labbra escono le parole più belle e più dolci che animo d'uomo possa cercare:

"Iddio
che accendi ogni fiamma
e fermi ogni cuore
rinnova ogni giorno
la passione mia per l'Italia.."

...e il canto ci innalza sempre più, fino a portarci vicino a quel Dio al quale, in cambio della nostra vita, chiediamo una sola cosa: che salvi l'Italia."

San Bartolomeo, aprile '44, Marò del Btg. Lupo durante
una pausa dell'addestramento

 

.: I partigiani con gli alleati anglo-americani

Ma le notizie che giungevano dal fronte costrinsero il Comando del Battaglione a trasferire il reparto al nord, dapprima sull' Appennino con lo scopo di proteggere le retrovie dalle insidie del movimento partigiano, compito che fu accettato "ob-torto collo", ma che fu portato a compimento sia per disciplina sia perché i partigiani avevano scelto di schierarsi con gli invasori anglo-americani e pertanto erano da considerarsi nemici. Nemici ma senza i crismi del soldato poiché potevano agire e nascondersi facilmente non portando né divisa né contrassegni che li rendessero identificabili, non solo, ma esponendo la popolazione ai rischi delle rappresaglie previste dalle leggi internazionali di guerra. Ce ne hanno dato abbondanti esempi, nella loro storia militare, anche gli inglesi, i francesi e oggi Israele. Il "Lupo" si trovò quindi nella necessità di agire quando, dislocato tra Fivizzano, Aulla e Posara dovette difendersi dai primi attacchi partigiani che causarono la morte di un marò e la cattura di un altro, successivamente fucilato secondo gli ordini del C.L.N. che prevedevano al massimo due ore di sopravvivenza per il prigioniero. Nel suo diario, Attilio Bonvicini, ufficiale del "Lupo", annota:". .ogni idea si serve con tutte le forze e fino in fondo;..il nostro sentimento di italiani non rimane insensibile di fronte al fatto doloroso della guerriglia, ma non possiamo pensare ad altre soluzioni, ciò che sarebbe ingenuo, colpevole e falso."

Dicembre 1944, un gruppo di marò in posa, attendendo
la partenza per la zona di impiego

Il "Lupo", come tutta la DECIMA, costretto a subire l'attività partigiana, non ricerca lo scontro se non quando gli avvenimenti lo portano a difendersi. I marò si sono arruolati per la guerra contro gli anglo-americani e non per contrapporsi a estremisti politici che avevano, come programma, la sola eliminazione fisica dell'avversario, dal momento che la loro attività bellica era del tutto ininfluente ai fini della vittoria finale. Lo scrittore e storico Eric Morrison ha addirittura considerato la campagna in Italia una "guerra inutile". Il "Lupo" quindi, non ancora completamente addestrato, ebbe i primi contatti con un nemico invisibile. All'inizio del mese di giugno del '44 il battaglione fu trasferito nella zona di Aulla-Fivizzano. Aulla era semidistrutta dai bombardamenti alleati che avevano mancato, o ignorato, l'unico obbiettivo di carattere militare: il ponte ferroviario. Ai primi di luglio il reparto venne inviato a presidiare il tratto della strada Parma Chiavari, tra Santa Maria del Taro e Borgo Valditaro. I marò giunti nella zona videro in un prato le salme di una quarantina di soldati tedeschi, sorpresi ed annientati dai partigiani. Ebbero così la prima esperienza di guerra che suscitò orrore ed ira. La permanenza in quella zona si complicò quando, nella seconda metà di luglio, il reggimento tedesco Flak concordò una tregua coi partigiani senza avvertire il comando del "Lupo". Si seppe successivamente che il comandante di detto reggimento era stato deferito al tribunale di guerra per alto tradimento. Quando la 1a compagnia giunse a Borgo Val di Taro, il com.te S.Ten.di V Mario Dettoni notò che nel campo sportivo erano state accatastate a triangolo alcune fascine di legna. Si seppe, per confidenze femminili, che i partigiani attendevano un lancio da un aereo. Nella notte le fascine furono accese secondo un ordine prestabilito e le attese non andarono deluse. Furono recuperati grossi pacchi di vestiario, scarpe e "sten" con le relative munizioni. I partigiani, numerosi nella zona, non ebbero il coraggio di intervenire. Alla fine di luglio il comandante del battaglione D.R.Stripoli ebbe l'ordine di effettuare una operazione al passo Cento Croci per impedire alla divisione partigiana "Julia", attestata sulle alpi apuane, l'accesso a Bedonia. L'avversario, forte di circa mille uomini, addestrati e guidati da ufficiali italiani e inglesi, attaccò improvvisamente all'alba ma fu respinto dai marò che in quella occasione diedero dimostrazione, dopo un iniziale momento di smarrimento, delle proprie capacità combattive. Nel successivo contrattacco, avvenuto nel pomeriggio, con l'ausilio di due mitragliere da 20 mm, giunte nel frattempo, i partigiani abbandonarono immediatamente le posizioni e si dispersero nelle vallate vicine.

Il rientro in patria dei reparti italiani addestrati in Germania permise al "Lupo" di liberarsi dai compiti di presidio e di riunirsi a Carasco ai primi di agosto. Da qui il battaglione raggiunse Torino e quindi Cirié per proteggere, importanti depositi di armi e munizioni. Le azioni dei partigiani della zona procurarono ancora perdite sia al "Lupo" che alla compagnia del "Barbarigo" colà dislocata. Il sergente Rascelli, del "Lupo", che stava accompagnando un'auto per un controllo, fu improvvisamente e vigliaccamente colpito al ventre da un colpo partito dall'interno dell'autovettura i cui occupanti si diedero poi alla fuga. Il valoroso reduce di El Alamein agonizzò per vari giorni prima di morire. In uno scontro coi partigiani furono liberati tre marò fatti precedentemente prigionieri e rimase gravemente ferito un ufficiale partigiano. Fu trasportato all'ospedale di Cirié, ove ebbe immediata assistenza medico-chirurgica che non fu sufficiente a salvarlo. Fu sepolto con gli onori militari per il valore con cui si era battuto.

 

.: Le ausiliarie

A Cirié ebbe inizio l'avventura generosa ed entusiasta di una ventina di ausiliarie che, al comando della Capo nucleo Dott. Maria Teja, vennero arruolate nel battaglione dopo aver partecipato al corso di addestramento del Servizio Ausiliario Femminile (S.A.F). Per la prima volta nella storia italiana si verificò la presenza, tra reparti militari, di giovani volontarie che affiancarono i combattenti con funzioni prettamente femminili, come cuciniere, infermiere, interpreti, e che con affetto, dedizione, coraggio e spirito di sacrificio seguirono fino all'ultimo i marò del "Lupo" meritando anche decorazioni al valor militare. Vogliamo ricordare Blandina Lovise che è finita tragicamente nell' eccidio di Schio; purtroppo su di loro infierirono i vincitori con sevizie, maltrattamenti e prigione; di loro dissero tutto il male possibile e invece sappiamo come abbiano rispettato il loro impegno morale, oltre che fisico. In un recente incontro a La Spezia un ufficiale di marina chiese a un' ausiliaria, con aria leggermente ironica, per quale motivo si era arruolata. La risposta immediata:" Ho preso il posto degli uomini che non lo avevano fatto".

 

.: In Piemonte

Durante la permanenza a Cirié, si ebbero incresciosi incidenti verificatisi durante il presidio alle polveriere. Qualcuno si ustionò o si bruciò capelli e sopracciglie. Ma contemporaneamente si intensificò 1' affiatamento tra le compagnie e si sviluppò ulteriormente lo spirito di corpo. Il comandante, principe Borghese, riunì ad Ivrea i vari comandanti di Battaglione ed espose loro la difficile situazione militare creatasi con lo sbarco in Francia delle truppe anglo-americane. Il com.te del "Lupo" Stripoli fu il primo a rilevare la necessità di continuare a combattere proprio per il profilarsi dell' esito negativo della guerra e di riunire quindi la Decima in una zona alpina di difficile accesso al nemico e ivi durare il più a lungo possibile. Nelle valli di Viù, sempre nel torinese, il battaglione fu utilizzato per tutelare le vie di comunicazione e per liberare decine di militari e civili prigionieri dei partigiani. Fu occupato Usseglio a 1265 metri di altitudine, sede del comando partigiano, ove furono reperiti tre autocarri e fatti prigionieri alcuni partigiani sorpresi nel sonno. Questi accettarono di passare al "Lupo" con mansioni varie di lavori materiali e seguirono il reparto fedelmente fino alla fine. Dopo Usseglio si giunse al Laghetto della Rossa a 3400 metri costringendo i partigiani a riparare oltre il confine in Francia. Il comandante Stripoli seppe dell'arrivo di un ufficiale tedesco che lo avrebbe interrogato sul mancato rispetto della tregua stabilita tra i tedeschi e i partigiani, accordo fatto a sua insaputa, e neutralizzò la velleità teutonica con una colazione abbondantemente sostenuta da libagioni. L'interrogatorio non si fece mai.

 

.: Prima del fronte

Nell' ottobre del '44 il battaglione si trasferì a Torino, nella Caserma "Monte Grappa". Da qui partirono alcune operazioni svolte da una compagnia di formazione. La prima per andare a liberare dall'accerchiamento il Reparto Arditi Ufficiali. Dotata di una sezione mortai da 81 la compagnia obbligò al ritiro i partigiani che abbandonarono vari automezzi carichi di materiali. La seconda operazione permise la liberazione del Guardiamarina Gandolfo e del sergente Tagliaferri. Moriranno entrambi, Gandolfo ucciso dal partigiani mentre trascorreva in famiglia una licenza premio, Tagliaferri sul fronte del Senio.

 

.: Operazione Alba

Successivamente vi fu la liberazione di Alba che fu realizzata dal "Lupo" e dal Reparto Arditi Ufficiali in prima schiera e dal Btg. "Fulmine" con il Gruppo Artiglieria "Colleoni" (della Decima) in seconda linea. Ad Alba il partigiano "Mauri" aveva instaurato l'autorità del governo del Sud che, favorito dalle condizioni ambientali e dalle difese apportate, costituiva un simbolo per la resistenza e grave danno al prestigio del governo del Nord. Dal racconto del S.Ten.V. Simeone Jelenkovich : "... nelle adiacenze della casa Cavallotti piàzzai i miei mortai da 81 e i due cannoni 47/32 contro le colline prospicienti...Il piano tattico impostato dal comandante Stripoli prevedeva l'avanzata della 2a compagnia in pianura, attraverso i campi a nord della strada nazionale e una manovra avvolgente a largo raggio delle compagnie 1a e 3a su due differenti direttrici per le colline a sud della strada... La 2a aveva già iniziato lo spostamento in avanti nella pianura; dalla parte delle colline si udivano, sporadicamente, raffiche di mitragliatrici che si indirizzavano verso di noi.... Col comandante Stripoli mi misi d' accordo di schierare un plotone in posizione d'attacco, avvertendo l'ufficiale e i marò che la loro sarebbe stata un' azione dimostrativa. I ragazzi, al segnale, balzarono in avanti avendo cura di non scoprirsi troppo. Gli avversari, vedendo il nostro fronte muoversi,...aprirono un gran fuoco di mitragliatrici con tutte le armi a disposizione in quel settore.

Milano, dicembre 1944

La poca disciplina di fuoco li tradì... Feci puntare i due cannoni su casa Biancardi e i sei mortai sui nidi che si trovavano a monte della stessa casa. Al quarto tiro i nidi di mitragliatrice furono centrati; ancora dieci bombe e la compagnia di fucilieri scattò in avanti mettendo piede sulle prime pendici delle colline... Ora i fucilieri passavano di collina in collina parallelamente alla strada, e noi della 4a, trasportato il materiale sull'altra sponda del Talloria con qualche difficoltà per i 47/32 , seguimmo la loro marcia un chilometro indietro, pronti a intervenire...". L'occupazione di Alba si effettuò in tempo più breve del previsto per lo slancio degli uomini del "Lupo" ed il coraggio del Reparto Arditi Ufficiali. (dal racconto del com.te Stripoli): "Nell' operazione cadde il serg.A.U. Pinon e rimasero feriti alcuni marò. A presidio della città rimasero reparti della G.N.R., mentre quelli della Decima rientrarono a Torino.

Il Battaglione fu premiato dall'elogio del Comandante Borghese e dall'annuncio della prossima partenza per il fronte. Questo annuncio ebbe eco immediata di entusiasmo perché prevaleva su tutti l'impegno e la promessa di combattere per l'onore d'Italia contro l'invasore anglo-americano e non certo nell'azione limitata e ripugnante della guerra civile", che di "civile" non aveva niente.

 

.: Avvio al fronte

Da Torino una colonna di automezzi con a bordo il "Lupo" raggiunse Milano. Trasferimento non facile per carenza di mezzi di trasporto, per la difficoltà di approvvigionamento di carburante, parzialmente risolto con combinazioni di acetone e benzolo. Dice Stripoli:" Confesso oggi che molta benzina fu sottratta agli alleati germanici, sistematicamente vittime dell'inventiva latina." A Milano il battaglione venne acquartierato nelle scuole di Ripa Ticinese. L'ambiente non era molto cordiale, qualche volta ostile. Il comando fu ripreso dal Cap.di Corv.De Martino; a borsa nera il ten. Bertelli provvide ad acquistare le mitragliere da 2Omm per la difesa antiaerea. Nella 4a compagnia il S.T.V. Jelenkovich, ferito in un incidente automobilistico, fu sostituito dal T.V. Alberto Marchesi; alla prima compagnia rimase il S.T.V. Mario Dettoni, alla seconda il G.M. Pietro Cardillo, alla terza il S.T.V. Mario Sannucci, alla quarta il T.V. Alberto Marchesi e infine alla quinta il Ten.Roberto Gandolfo.

Scriveva nel suo diario Attilio Bonvicini:" Gli Appennini ci aspettano e una guerra disperata. Ci siamo meritati questo premio credendo e resistendo per dieci lunghi travagliati mesi." Il 24 novembre del 1944, nel parco del Castello Sforzesco, il Maresciallo Graziani passò in rivista il battaglione, completato nella sua organizzazione logistica e snellito nel numero; inizialmente di mille uomini, era stato ridotto a circa settecento. Sui volti è dipinta fierezza e gioia per la partenza. Finalmente si lasciava il sudiciume delle imboscate, dei tradimenti, delle vigliaccherie per andare a combattere a viso aperto, contro un nemico che avrebbe sparato al petto e non alla schiena. Il battaglione sfila per le vie di Milano suscitando interesse ed entusiasmo. Impeccabile, completamente armato, mostra alla popolazione milanese che ci sono ancora degli italiani, degni di questo nome, che si accingono a testimoniare, con l'offerta della propria vita, il loro attaccamento alla terra cui appartengono. La demolizione di tutti i valori dello spirito, attuata sistematicamente da cinquant' anni, non permette di poter comprendere, oggi, questa suprema offerta.

Milano, dicembre 1944, i reparti del Lupo sfilano
per le vie della città prima di raggiungere il fronte

A pag.165 della "Storia della Resistenza" di Battaglia, edita nel 1970, cosi si esprime l'autore a proposito dei volontari della Decima: "Fra le bande di avventurieri che partecipano all'estremo tentativo del fascismo spicca quella capeggiata da Valerio Borghese... (..la Decima Mas, costituita da Borghese, non avrà nulla a che fare con l'autentica marina italiana. Sarà il rifugio dei disperati e dei declassati)". Effettivamente nulla a che fare con quella marina che, l'otto di settembre, si consegna nella maniera più indegna agli alleati. Il suicidio della Medaglia d'Oro CARLO FECIA DI COSSATO è la conferma più tragica che la resa senza condizioni ha tolto ogni parvenza di utilità e di dignità a quel gesto che nessuna marina militare ha mai concepito , in dispregio alle tradizioni marinare. Per quanto Battaglia si riferisce ai disperati e ai declassati rifugiati nella Decima, penso che la vita offerta dai nostri caduti, allora ventenni, e quella che il destino ha voluto farci vivere, giorno per giorno, ora per ora, onestamente, correttamente, raggiungendo mete e traguardi, sono le testimonianze più concrete di quanto sia stata menzognera, stupida e immorale quella affermazione che non può essere il giudizio di uno storico ma l' ancillare sbavata di un buffone di corte. La sera del 4 dicembre il 'Lupo" si accingeva a partire per la sua avventura nel momento più drammatico e difficile.

Parenti, amici e conoscenti si affollavano intorno agli autocarri sui quali un pugno di uomini, animati da un infinito amor patrio, stavano salendo per andare a offrire la propria giovane esistenza non per disegni o giochi di partito, ma unicamente perché l'onore, offeso l'otto settembre del '43, chiedeva il loro sacrificio. Cantavano tutti al momento della partenza:" Lupo va...t'attende la battaglia. t'attende la riscossa... forse si morirà..." Il battaglione traghettò sul Po nella nottata dal 4 al 5 dicembre '44; in quella notte, fredda e brumosa per il clima invernale, uno degli autocarri con rimorchio, forse per la manomissione dei segnali stradali, imboccò un ponte distrutto dai bombardamenti e precipitò nel fiume. Una decina di morti, molti i feriti in una fine mai immaginata, senza combattimento, senza medaglie. Immondi sciacalli furono visti frugare tra rottami e corpi umani. Il convoglio raggiunse Viadana e, seguendo la via Emilia, arrivò a Bologna. Nei giorni successivi si procedette allo schieramento sui monti Caprara, Sole e Maggiore, a Zola Predosa, a Monte S. Pietro e a Sperticano. Pertanto le posizioni del "Lupo" si trovavano a ridosso delle prime linee tedesche, in zona molto battuta dalle artiglierie nemiche. Si ebbero così i primi feriti, compreso il S.T.V. Benzoni e il suo incarico venne assunto dal G.M. Cardillo. Nella mattina del 24 dicembre giunse l'ordine al "Lupo" di lasciare le posizioni apenniniche e di concentrarsi a Monte S.Pietro in attesa di nuove disposizioni. Nella notte prese a nevicare e il rumore delle esplosioni sembrava giungesse più smorzato. Natale al fronte! Giunse in visita il Comandante Borghese che pranzò con gli ufficiali. Furono cantate le canzoni del "Lupo", canzoni che non furono più scordate e che, dopo tanti anni, i pochi reduci rimasti ancora cantano nei loro ritrovi. Lo spostamento successivo si effettuò dal 26 al 27 dicembre del '44 e il battaglione giunse a Pratolungo, a nord-est di Fusignano.

Sorprendentemente i marò vennero a contatto con civili che, contrariamente alla logica, continuavano a trattenersi in zona di operazioni. Si ebbe la sensazione che potessero costituire una sorta di ragnatela per servizio informativo a favore degli alleati, coi quali probabilmente avevano contatti notturni. I tedeschi in zona, con postazioni diradate e insufficienti, non riuscivano a valutare esattamente e quindi a neutralizzare tale situazione. Giunse finalmente l'ordine di schieramento per il "Lupo". Il settore dove si sarebbe dovuto operare era compreso tra gli abitati di Alfonsine e Fusignano, tatticamente alle dipendenze della 16a divisione corazzata "Panzer-grenadier Reichsfùhrer SS". La linea di combattimento, da Alfonsine, spostandosi verso ovest, coincideva parzialmente con l'argine destro del Senio fino a breve distanza da Fusignano, per spostarsi poi sull'argine sinistro dove le opposte postazioni distavano anche meno di dieci metri, trovandosi le une e le altre sui fianchi dello stesso argine. Le case semidistrutte offrivano comodo asilo ai tiratori scelti anglo-amencani. Il minamento del terreno, in parte operato dagli alleati e in parte dai tedeschi, era un insidia costante, ignorandone il posizionamento. I mezzi corazzati nemici giungevano nelle vicinanze del fiume ove aprivano il fuoco, per ritornare poi in posizioni di sicurezza. La situazione non era molto valida dal punto di vista strategico e quindi la responsabilità di qualsiasi movimento investiva i comandi del rischio di pregiudicare l'equilibrio a favore della potenza del nemico. Il battaglione entrò in azione dal 27 al 29 dicembre '44. La compagnia del ten.Dettoni ebbe il compito di rafforzare le difese di Alfonsine; la 3a, comandata da Sannucci doveva contrastare il nemico fortificato tra le rovine della "Rossetta" a sud dell' argine destro del Senio. Mentre al T.V Strada era affidata l'incombenza della difesa antiaerea con l'ausilio delle mitragliere da 20, al ten. Marchesi l'incarico di posizionare i mortai, cosa che fece ottimamente stupendo i tedeschi per la precisione, ma indisponendo ..ovviamente.. il nemico.

A Boccaleone si sistemò l'auto-parco alle dipendenze del T.V. De Micheli, molto esperto nel recupero di carburante a danno dei tedeschi. Non furono soddisfatti il ten. Cardillo e la sua ha compagnia essendo trattenuti a disposizione. Le proteste furono talmente efficaci che i comandi decisero di affidare loro la difesa di posizioni nella zona di Lugo di Romagna. Qui cadde il marò Fontana in un primo scontro a fuoco. Nel suo racconto il com.te Stripoli accenna alla personalità di Cardillo. Scrive testualmente:" Era un bel giovane, alto, sano di aspetto, parco di parole per la invincibile ritrosia che tratteneva il fluire e l'esprimersi del suo pensiero. Era stato ufficiale paracadutista della "Folgore" e si era meritata una decorazione al valore.. .I suoi marò lo ammiravano e gli volevano bene; il suo coraggio li aveva contagiati ed essi, quando Cardillo li lasciò, fecero "la storia incredibile del battaglione Lupo". E Stripoli così continua:" Ho amato Cardillo come mio figlio, vorrei riportarlo a suo padre ricordandoglielo così come lo ricordo io, invitto e inobliabile." Il comando di Battaglione, dopo una sosta a Pratolungo, venne spostato ad ovest di Alfonsine. Per l'impiego tattico il "Lupo" era alle dipendenze dei tedeschi ma, nel clima di collaborazione intervenuto, il responsabile del reparto veniva preventivamente avvertito delle operazioni da attuare tenendo anche presenti le esigenze del reparto stesso. Si venne a conoscenza che, schierato di fronte al "Lupo", vi era il reggimento della guardia imperiale inglese, il quale faceva gran uso di bombe al fosforo.

Gli inglesi non gradivano muoversi in pattugliamenti e preferivano l'impiego dei mortai per battere sistematicamente gli argini del Senio. In quel periodo la difesa tedesca era agguerrita e molto efficace ma certamente non altrettanto efficaci erano gli inglesi che furono successivamente sostituiti dai canadesi con un comportamento assolutamente diverso e con volontà di battersi ad ogni occasione. I marò del "Lupo", che avevano il compito di difendere gli argini del Senio, trovarono modo di proteggersi nelle buche scavate nei versanti degli argini stessi, nella terra argillosa. Queste buche non davano certamente sicurezza di resistere all' azione dei mortai. Qualcuna cedette e purtroppo capitò che l'inquilino vi rimanesse sepolto. L'argilla penetrava dappertutto, in bocca, negli occhi, negli orecchi, particolarmente agevolata dalla pioggia che ne favoriva la diffusione. Anche il famigerato pane tedesco, che sapeva di tutto fuorché di pane e che poteva essere usato come proiettile per la sua durezza, anche lui era condito con l'argilla. In taluni tratti del fiume vennero scavate fosse sui versanti dello stesso argine e in qualche caso, essendo le buche sulla stessa linea trasversale, si formarono dei mini tunnel che permettevano l'incontro tra avversari. Un marò vide spuntare l'arma nemica dal fondo dello scavo, tentò di afferrarla e ci rimise un dito. Narra il ten. Spartaco Zeloni della 3a compagnia:" Le ultime giornate del '44 ci trovano nelle immediate retrovie, mescolati ai civili di Pratolungo...Se c'è qualche contrasto fra civili e germanici a causa degli alloggi, che scarseggiano per il diuturno sgretolamento, interveniamo subito e in qualche modo si conciliano le esigenze logistiche con quelle del "tira a campa"' di questi contadini, attaccati alla terra oltre ogni logica considerazione di sicurezza. Una granata entra in una stalla e toglie la vita a una bambina.

Passa, l'indomani, sul ghiaccio della strada una piccola bara accompagnata da uno sparuto gruppo di paesani. E noi, grandi, armati, incolumi. di fronte al destino che avrebbe dovuto, semmai, scegliere uno di noi e non quella creatura innocente.". Giunge alla 3a compagnia l'ordine di attestarsi in prima linea. La compagnia si muove seguendo la strada che conduce all'argine. I mitraglieri, col comando, si attestano in tre case coloniche semidistrutte. Le postazioni sono situate sul filo dell' argine. Parte della compagnia si sistema sull'argine destro e parte su quello sinistro. A duecento metri ci sono i canadesi. Il fiume può essere attraversato camminando su tronchi d'albero o travi, posti a collegare le due sponde, che sono ricoperti di brina. Attilio Bonvicini annota alla data del 30 dicembre:" Esce la prima pattuglia comandata da Manca e composta da tre uomini. Visitano alcune case sulla via Rossetta, trovano tracce dei canadesi, ma non fanno nessun incontro." La seconda compagnia ebbe l'incarico di dare il cambio agli avamposti tedeschi ed ebbe a subire notevoli perdite. Nella notte del 14 gennaio 1945 uscì una pattuglia con l'intento di neutralizzare un mortaio nemico che procurava molte perdite allo schieramento italo-tedesco. Tra gli uomini impiegati c'erano anche i sergenti Secchi e Lualdi. Ma il nemico ebbe modo di riaversi dalla sorpresa aprendo il fuoco dalle postazioni vicine. Secchi uscì dal riparo per aiutare Lualdi : furono feriti entrambi. L'ufficiale Cardillo, in uno slancio generoso, uscì allo scoperto e rimase ferito alla testa come Lualdi , il quale, prima di perdere conoscenza disse a Secchi:" Fai sapere ai miei che non voglio che si disperino, perché l'ho fatto per l'Italia." Spirò il giorno dopo. Il tenente Cardillo agonizzò per molti giorni; prima di morire pronunziò chiaramente :" Decima Italia! Italia!". Dal racconto di Carlo Rodriguez: "Ci era stato detto che la pattuglia era molto rischiosa; naturalmente tutti nel nostro plotone si offersero e dovemmo fare la conta; alla fine capitò il nome di Favaretto e il mio... Andammo avanti fino a un pagliaio dove l'ufficiale ci fece cenno di fermarci e mandò me e Favaretto a vedere quello che c'era in una casa vicina. Noi avevamo fatto parecchia strada senza incontrare niente. Al buio dissi a Nino (Favaretto): "Hai un fiammifero?" Lui tirò fuori dei cerini e accese; c'erano per terra alcune scatole di viveri aperte di fresco. Notammo anche una scaletta che portava di sopra, ma non ci passò per la mente di salire. Tornammo tranquilli al paghaio dove gli altri ci aspettavano. Improvvisamente ..ci sentimmo tirare addosso da tutte le parti. Questa sparatoria fu violentissima e breve. L'ufficiale tedesco venne ferito ai primi colpi e anche un altro tedesco cadde a terra.

Vidi Favaretto buttarsi in una buca, Tito ed io riuscimmo a tirarci un poco indietro fino a un cancelletto; superato questo c'era un fosso pieno d'acqua e ci buttammo dentro. Il tedesco ferito gridava: era la prima volta che sentivo un tedesco gridare "Mamma". L'ufficiale ferito e il soldato superstite si erano ritirati e noi rimanemmo lì ad aspettare Favaretto... A un certo punto vedemmo, verso quel pagliaio, alzarsi un'ombra e scattare verso di noi. Era Nino. Gli piombarono addosso alcune raffiche rabbiose. C'era la luna e vedemmo tutto chiaramente: allargò le braccia e gridò : "Viva l'Italia". Spararono ancora e fu subito silenzio." Le pattuglie si susseguivano notte dopo notte. Un continuo logoramento che portava sempre notizie di ferimenti, di morti, indipendentemente dalla riuscita o meno delle singole operazioni. I carri armati si avvicinavano durante le ore buie per colpire 1' argine. Le postazioni erano costituite da buchi col fondo pieno di acqua gelata. I piedi erano sempre bagnati e si verificarono casi di congelamento. Ma la guerra è questo e altro. Ci sono i pidocchi che... tengono compagnia, il fango che attanaglia le gambe, la neve, la pioggia, la fame. C'è anche il nemico coi suoi mezzi abbondanti, con gli aerei che vengono a spiare le postazioni, con le fotoelettriche che illuminano il cielo per controllare di notte i movimenti avversari. Alla mezzanotte del 31 dicembre 1944 tutti i combattenti della "linea gotica" salutano l'anno nuovo scaricando ogni tipo di arma. Il fronte si incendia completamente creando un tragico e fantasmagorico palcoscenico ove le stelle vengono offuscate da miriadi di proiettili traccianti, dai bengala e dai razzi.

Anche se gli avvenimenti non sono certo favorevoli, gli italiani del "Lupo" sanno di difendere una concezione di vita individuale e sociale nata dalla loro natura e dalla loro educazione. Nella stessa notte alcuni marò si preparano alla sortita; da Luigi Sitia : " Opereremo insieme a una squadra tedesca. In una casetta diroccata addossata agli argini del Senio aspettiamo che venga l'ora cercando di dormicchiare, mentre i crucchi si spidocchiano con lena forsennata. Loro sono in linea da mesi e sui volti smunti la guerra ha scavato solchi profondi. All' improvviso la porta si spalanca e tre di loro irrompono portando ognuno quattro gavette fumanti di vin brulé. "Hier, Kamaraden, hierher zu trinken! Essere crante festa diese nacht.." E tutti insieme trinchiamo; poi dalle gole contratte di questi teutoni si leva un coro lento, sommesso, triste:" Stille nacht, heilige nacht..." E' ancora il ricordo della recente notte di Natale che preme su loro e sui nostri cuori. "In piedi e verificare le armi". E' arrivato il tenente assieme a un ufficiale tedesco.. ..Un quarto d'ora dopo siamo schierati sull'aia ....Impassibile il disco giallo di una luna enorme si riflette sui nostri elmetti. Brutta notte per andare di pattuglia....lenti sfiliamo sull' argine, poi con un balzo lo valichiamo: eccoci nella terra di nessuno ...finalmente ecco l'ordine, giunto come un soffio, di disporsi in ordine di combattimento: ci allarghiamo come un ventaglio, italiani a destra e tedeschi a sinistra. Stò sbriciolandomi dalla paura e mi aspetto, istante per istante, la prima raffica. Ecco, una secca detonazione schiocca da una casa e un tracciante rade le nostre teste. Ora viene il resto, mi dico, mentre passa il soffio di un nuovo ordine : "pronti per lo scatto". Ma lo scatto non viene come neppure viene il resto dalla parte avversaria. Riprendiamo ad avanzare sui gomiti. Due ombre si staccano da terra, sono il tenente tedesco e i mio sergente altissimo: come lupi scompaiono in quattro balzi tra le macerie. Rimaniamo inchiodati al suolo.. le ombre ricompaiono. ..il presidio canadese se l'è svignata, forse aveva l'ordine di non cercare grane, forse avranno temuto l' attacco in forze. Sul tavolo fumano ancora due mozziconi di due Morris; provviste in scatola, indumenti e coperte s' ammucchiano contro il muro. Allarme arrivano carri!.. ci appostiamo ai margini della frazione distrutta. Nella notte bianca di luna due enormi pachidermi di acciaio si muovono guardinghi.. .due ombre scivolano lungo i filari delle piante incontro ai mostri avanzanti.

Fronte del Senio, febbraio 1945
uomini del Lupo.

L'ufficiale con la sigaretta, visibile 
al centro della foto, è il cappellano
del battaglione Don Bruno
Falloni.

Ed ecco, dalla terra nasce una fiammata azzurra e un rombo rimbalza sordo sulle zolle, dal carro s'alzano improvvise nubi di bianche scintille , alcuni secondi di massima tensione e tutto il carro scompare tra il fumo, un fragore lacerante spacca l'aria. Il panzerfaust di Alberto Bella-gamba ha fatto centro. L'altro Sherman retrocede rapidamente cannoneggiando a vanvera le rovine dove siamo nascosti.... Quale soddisfazione quando poco dopo risentiamo sotto le suole il terreno battuto dell'aia da cui siamo partiti!" Uno dei pericoli, che si doveva affrontare con una certa continuità, era costituito dal "cecchino" sempre pronto non appena un sia pur piccolo segno di vita superava il pelo dell' argine, ciò non era molto gradito e spesso qualcuno ricorreva all' uso dell' elmetto issato sulla canna del fucile nel tentativo di localizzare la dislocazione dello sparatore. Qualche volta al posto del fucile si alzava un braccio nel gesto sconcio di significato internazionale! Scrive il ten. Spartaco Zeloni della 3a compagnia : " Gli avamposti che ci stanno di fronte costituiscono una spina tattica per il nostro schieramento, in una delle prime esplorazioni a corto raggio qualcosa salta sotto i piedi di G.; i compagni lo riportano sull'argine con un piede in frantumi; è molto agitato , lamenta una forte sete e bestemmia come un turco mentre viene allacciato sotto il ginocchio per ridurre l'emorragia. Dopo che ha scolato una mezza bottiglia di acquavite, si sente meglio e trova il tempo, tra un sorso e l'altro, di rivolgere a noi, che gli siamo premurosamente intorno, il rituale invito : " Chi non beve con me peste lo colga", invito che deve essere sempre accettato, pena la squalifica. Si dichiara quindi pronto a farsi accompagnare indietro. Quando arriverà all'infermeria, il medico farà il resto per la gamba, Don Bruno potrà emendarlo davanti a Dio per le incontinenze verbali. Don Bruno Falloni ha sulla truppa un suo particolare ascendente; non quello , certo, del leggendario Junio Valerio Borghese, comandante di tutta la Decima, lucido organizzatore di una formazione militare di grande efficienza; né quello del nostro Comandante di Battaglione , ex sommergibilista, o dello spericolato Renato Stripoli, ex-ufficiale dei battaglioni "M", e di altri che portano sul petto i segni del valore. Don Bruno ha l'ascendente dell'uomo illuminato, in grado di capire sempre e, all'occorrenza, anche di compatire; e in più, per lunga pratica, scaccia col bastone i demoni da questo ambiente abbandonato dagli spiriti benigni.

Anch'io lo stimo, come lo stimano gli altri, e lo considero con simpatia. Col suo bastone mi ricorda Pif, il cappellano militare del 2o Gruppo Alpini Valle, di stanza a Giànina in Grecia, il quale usava il randello per scacciare il demone del turpiloquio che, tra gli alpini, aveva trovato un pascolo pressoché inesauribile...". Su Don Bruno Falloni annotiamo anche quanto scrisse il Com.te Dante Renato Stripoli : "E' tradizione che il sacerdote in divisa militare sia un condensato di sacro e di profano. Egli deve aver cura delle anime, ma deve apprezzare le azioni fisiche quando hanno per fine l'assolvimento del dovere. Non si ammette che il cappellano disdegni la buona tavola e in particolare dispregi un buon bicchiere. Deve anche indulgere sugli altri gradevoli aspetti della vita e spiritualmente castigare, quando ne è il caso, senza calcare la mano. Deve, infine, amare coloro che in guerra gli si affidano ed ancora di più coloro che gli stanno lontani, per soccorrerli nei momenti supremi. Don Bruno non era nulla di tutto ciò quando me lo vidi arrivare a Torino, rasato di fresco, con la smarrita espressione del giovane appena iniziato al sacerdozio. Gli occhi, però, erano vividi di dolcezza e d'intelligenza e compresi che la materia da plasmare era eccellente. Brevemente dirò che egli spiegò la sua missione con istintiva avvedutezza. Seppe rapidamente collocarsi al livello della gente e ne contemperò e ne armonizzò le contrastanti esigenze morali; dimostrò che in lui felicemente coesistevano il sacerdote ed il soldato e si cattivò anche gli spiriti più spregiudicati; condivise le ansie i disagi ed i pericoli dei marò ed al battaglione dedicò qualche cosa di più prezioso del poco che possedeva e che francescanamente donava: La sua fede semplice e generosa in un ideale insolito ed esigente." La cronaca si arricchiva ogni giorno di fatti che potevano appartenere alla normale routine della vita al fronte, oppure di eroismo, di solidarietà, di sacrificio che spesso raggiungevano limiti che possono apparire incredibili a chi non ha vissuto analoga esperienza, soprattutto in considerazione delle difficoltà che mettevano alla prova ogni resistenza fisica e psichica.

Narra ancora il com.te Renato Stripoli : " Anche dalle rovine de "La Rossetta" il fuoco dei canadesi causava continue perdite ed il marò Alfredo Santoni non riusciva a contenersi ed ogni giorno spiava dall' argine il nascosto ed onnipresente nemico. Arrivò l'occasione: la sagoma di un canadese apparve fra Te macerie, Santoni gli urlò qualcosa ed imbracciò il moschetto , il canadese si sottrasse alla vista. Come un eroe mitico Santoni si eresse sull'argine e sfidò il nemico! Per una infinitesimale frazione di tempo gli uomini rimasero immobili per il gesto che non poteva e non doveva essere vero! La guerra irrise gli uomini, si udirono spari e Santoni scagliò un' ultima sfida, il viso si trascolorò, scivolò a terra. Fu portato all' ospedaletto da campo ma ne fuggì pochi giorni dopo per ritornare al Senio, con le bende ancora zuppe di sangue."

 

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