Ultimo Urlo - Inviato da: Panzerfaust - Sabato, 02 Gennaio 2010 15:56
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Piero Operti : la difesa dei reduci della R.S.I.

.: Piero Operti : la difesa dei reduci della R.S.I.

Piero Operti, capo partigiano, scrive:

Queste sono le parole con cui Piero Operti, antifascista e partigiano, difese i suoi giovani studenti universitari reduci dell'esercito repubblicano, nell'immediato dopoguerra

Si, O SIGNORI, io son quel desso. Son colui che distinguete col nome di "Repubblichino".
Appartenni alle Forze Armate della R.S.I. Voi vedete in me la sentina di tutte le colpe, il ricettacolo di tutti gli errori, la pattumiera di tutte le iniquità. Infatti tenni fede alla parola data alla Patria quando la vostra saggezza aveva, quella parola, per chiffon de papier; credetti quando tutto comandava lo scetticismo; quando l'imboscamento veniva aureolato di gloria volli continuare a combattere. Son colui che distinguete col nome di "Repubblichino".
Fui soldato dell'onore - sostantivo maschile derivato dal latino "honor, honoris" della terza declinazione regolare - e, mentre voi radiavate dal dizionario questo vocabolo come contrastante con l'eccletismo della itala gente dalle molte vite e dalle molte casacche, ricordai che i Romani divinizzarono l'ONORE e il VALORE e li venerarono in un medesimo tempio; e mentre la Fortuna giungeva a voi sulle ali dei "Liberators" io ricordai che i Romani, dopo la rotta di canne, edificarono un tempio alla Fortuna Virile, e che conferendo maschiezza alla fortuna essi ne fecero non un dono del caso bensì una conquista del valore.
Perciò il 5 giugno 1944, quando voi alzavate inni di giubilo per la "liberazione" di Roma, io piansi le più cocenti lacrime della mia vita e invidiai i camerati del "Barbarigo" caduti sulla via dell'Urbe opponendosi con le bombe a mano, come il maggiore Rizzati, all'avanzata degli "Sherman".
E, mentre a Trieste voi gridavate: "Meglio gli slavi che i fascisti" e Radfio bari annunziava l'avanzata dei partigiani jugoslavi lungo la costa istriana, chiamandola "litorale sloveno", io sostenni nella selva di Tarnova, contro le bande di Tito e gli ausiliari di Togliatti, un aspro combattimento nel quale quasi tutti i miei compagni del "Fulmine" persero la vita.
Fui soldato dell'Italia ritornata espressione geografica e sperai di chiudere per sempre gli occhi per non vedere la sua plebe d'ogni rango sciamare intorno ai vincitori, offrendogli i suoi fiori e le sue donne e azzuffandosi per raccattar le sigarette gettate dall'alto dei carri.
Quando, infranta la linea gotica, nelle vostre città voi apprestavate archi di trionfo e vi gettavate ai linciaggi, io sparai sul Senio sino alla mia ultima cartuccia e coi camerati superstiti del "Lupo" ricevetti dal nemico l'onore delle armi, come Kosciusko a Macovje, qualcuno in quel luogo e in quell'ora pronunziò le parole: "finis Italiae"
Sono, o signori, il temerario ribelle alle suggestioni della liberazione e della capitolazione.
Rimasi al fianco del tedesco perché la guerra non è un giro di valzer e con lui l'avevo incominciata, perché sapevo ch'egli ci era nel presente e ci sarebbe stato nel futuro meno nemico degli alleati, e perché prevedevo che costoro, essendo buoni sportivi, ci avrebbero in qualunque caso meglio giudicati e trattati se non piantavamo in asso il compagno di squadra nell'ora più dura della partita. Per questo compagno avevo la stima che non può negarsi al valore e che schiettamente egli ricambiava a tutti i buoni soldati. Come in Grecia, in Russia, in Africa rimasi al suo fianco in Italia e accanto a lui sanguinante camminai nel mio sudore e nel mio sangue avendo di fronte lo schieramento del nemico, sulla R.A.F., alle spalle le fucilate dei partigiani; e spesso dovevo chiedere a lui le munizioni, essendo le mie inservibili perché sabotate nelle fabbriche.
Venuto il mio turno, rifiutai la licenza, sapendo che al paese mi attendeva l'agguato, e volevo morire contrastando all'invasore la mia terra e non assassinato da un italiano.
MI STRINSI AL CUORE L'ULTIMO LEMBO DELLA BANDIERA, quando voi ne davate i brandelli ai negri perché li adoperassero come pezze da piedi. Nulla mi sembrò più orribile del proclamarsi vincitori in una patria disfatta e bruciai la mia anima nel rogo dell'Italia delle cui ceneri avete fatto il Vostro Piedistallo.
Ebbi l'inaudita protervia di vedere fra i ciechi, di udire fra i sordi, di camminare fra i paralitici, di piangere sulla fine della mia Patria mentre voi tripudiavate sul principio della vostra trionfale carriera. Risparmiato dalla guerra e dalla guerriglia, scampato alla ecatombe liberatoria, sopravvissuto a Coltano e alla galera, vengo dinanzi a Voi, o signori, a confessare il cumulo dei miei delitti.
So bene che nessun castigo da Voi inflittomi potrà adeguarsi ad essi; valga nondimeno ai vostri occhi la mia prontezza a pagare il fio di tanti misfatti.
"Molto deve esserle perdonato perché molto ha amato", disse della Maddalena il Redentore, e giustamente disse, poiché la donna piangeva sul suo passato; così giustizia vuole che avendo molto amato nulla a me sia perdonato, poiché il mio cuore, duro come una pietra, è insensibile al pentimento. E' questa in verità, o Signori, la mia ultima colpa, più grave da sola che tutto il carico delle colpe passate: "NON SONO PENTITO". "Ma avendo militato nell'opposta trincea io non posso pronunciare questo discorso e perciò lo passo a qualche antico avversario il quale mi sia oggi fratello nell'amore per l'Italia, affinché se ne serva quando inciampa in quella domanda che io ho incontrata".

 

 

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