Ultimo Urlo - Inviato da: Panzerfaust - Sabato, 02 Gennaio 2010 15:56
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L'operazione Malta 2


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l'operazione Malta2

Prende vita nel libro "I Mastini del Mare" (di Fabrizio Frezzan) la tragica avventura dell'operazione Malta 2. A parte il tono vittorioso e l'omissione di dettagli (sostituiti da "...........") dettati dal periodo bellico, la pubblicazione è infatti del 1943, è possibile rivivere quasi in prima persona i fatti di quella terribile notte che lasciarono sul mare diversi morti e mezzi.

La copertina del libro edito
nell' anno XXI


Entriamo nella pubblicazione:

.: il racconto della missione

I MASTINI DEL MARE Di Federico Frezzan

Partenza
Il giorno della partenza le camere furono sgombrate, e ai bagagli, accantonati in unica stanza, erano stati applicati gli indirizzi delle famiglie. Tutti avevano lavorato febbrilmente. Le cartoline in franchigia, con i soli saluti, le avevano consegnate in Segreteria. Alle 17,30 gli equipaggi avevano preso posto in due auto furgoni che partirono rapidissimi per ....... Erano allegri.
Allegri per essere stati prescelti. Equipaggi solo per otto mezzi questa volta. Quelli che restavano erano saliti anche loro per accompagnarli fino al momento dell'imbarco. Avrebbero pernottato al Semaforo di ....., mentre per la spedizione si sarebbero imbarcati la sera seguente. Gli autofurgoni procedevano rapidissimi sulla strada asfaltata. Il capitano di Corvetta Giorgio Giobbe era con loro, mentre il capitano di Fregata Vittorio Moccagatta sarebbe arrivato il giorno dopo.
Erano passati Tre mesi dalla sera del 26 marzo, quando il tenente di Vascello Faggioni con un nucleo di assaltatori, era entrato nella Baia di Suda, nell'isola di Creta; ed aveva affondato l'incrociatore pesante britannico York e due grandi piroscafi. La riuscita non aveva fatto dormire sugli allori Moccagatta e i suoi compagni. Certamente l'impresa aveva messo sul chi vive il nemico; il quale, oltre aumentare la vigilanza nei porti e specialmente alle imboccature, sicuramente aveva dovuto intensificare i mezzi difensivi, e particolarmente per Malta, ove il numero dei bastimenti da proteggere varia con la situazione bellica del Mediterraneo. I due ingressi del porto di La Valletta hanno un'apertura di 350 metri circa ciascuno, perciò sono facilmente sorvegliabili e battibili dal tiro organizzato.
L'entrare quindi dalle due imboccature diveniva difficilissimo, anche perché bisognava profittare di ore limitate da stabilire, in quanto altrimenti sarebbero stati sorpresi dalla luce del giorno sulla via del ritorno. Si era d'estate e precisamente nel mese di luglio, quando l'alba, a Malta, anticipa di circa mezz'ora.

Rapporto
Nella sala a terreno del Semaforo di ..... Moccagatta, nel pomeriggio del 25 luglio, aveva riunito tutti i partecipanti alla spedizione, subito dopo l'ispezione ai mezzi di assalto che erano stati ormeggiati in un insenatura dietro il Semaforo. - Ragazzi, - aveva detto - teniamo bene a mente gli ordini. All'imbrunire partiremo tutti insieme. Navigheremo per ...... gradi, a 35 miglia. Quando saremo a ....... miglia dall'imboccatura dei porti ..... metteremo in funzione i motori elettrici, e navigheremo a lento moto per trovarci alle 24,30 al punto stabilito. Il Comandante Giobbe, con il suo Mas, vi rimorchierà tutti.
A mezzo miglio vi dividerete. Palata silenziosa, sommersa, lenta e lunga per non destare l'attenzione delle stazioni idrofoniche nemiche. Il primo gruppo di sei, secondo gli ordini già emanati, entrerà nel Porto Grande, l'altro gruppo di due nel Porto Piccolo. Superato il primo sbarramento, palata lunga con due remi soltanto. Quelli che debbono superare il secondo, aumenteranno i vogatori. Portarsi poi, secondo gli ordini che ciascuno ufficiale conosce a memoria, verso i bersagli. Non credo che il nemico debba variare l'ancoraggio dei bastimenti proprio questa notte; tuttavia, nel caso non trovaste i bersagli prestabiliti, tener presente che debbono essere attaccate le navi da guerra. Non aver fretta. Scegliere i bersagli con accuratezza. Non vi sarà difficile; stando bassi sul mare, di distinguere il profilo di una nave da guerra da quello di un mercantile. Il bersaglio preferito deve essere quello più grande.
Comunque, sarà difficile che il nemico possa cambiare l'ancoraggio. In quel momento il Comandante Giobbe, ad una chiamata al telefono per Moccagatta, dalla base di Augusta, andò nell'altra stanza a rispondere. Pronto! Capitano di Corvetta Giobbe ! SI! Moccagatta tiene rapporto ! E' lo stesso! Ditelo a me! Quando rientrò, Moccagatta taceva, perché voleva che Giobbe fosse presente; ma principalmente perché aspettava la telefonata. - Comandante, da Augusta fanno sapere che le fotografie eseguite dagli aerei di Catania, alle ore 15, sono riuscite! Ancoraggio invariato! - Bene ! Le previsioni ci sono favorevoli, - disse Moccagatta -; quindi sarà difficile, se non impossibile, che il nemico cambi l'ancoraggio proprio questa sera. Ci vorrebbe troppo tempo. Perciò il bersaglio assegnato a ciascun mezzo d'assalto, rimane immutato. Torno a ripetere che nell'interno dei porti i motori dovranno essere messi in moto appena distinti i bersagli. Il mezzo di assalto che dovrà portarsi più addentro partirà per primo all'attacco, e così successivamente gli altri. Il mezzo destinato al bersaglio più vicino attaccherà quando l'equipaggio avrà udito gli scoppi degli altri. Se siete "mastini" azzannate bene ! .Il Comandante Giobbe attenderà tutti al punto ove vi lascerà. In due ore, al massimo, dovreste essere tutti di ritorno. Siamo intesi?! Alle due! Il Comandante Giobbe muoverà per il ritorno solo alle due di domattina 26 luglio.

Potrebbe darsi che foste scoperti prima di entrare. L'ordine è di passare ad ogni costo. O questa volta O mai più! Le cesoie automatiche apriranno i varchi celermente. Potrebbe darsi che dopo gli attacchi non vi riuscisse più di uscire. E' la prigionia che vi aspetta. E' inutile che vi ricordi le responsabilità che incombono al prigioniero che rivela, anche inavvertitamente, cose attinenti il segreto militare. Vi dico questo perché potrebbe darsi che il nemico tenti ogni sotterfugio per riuscire. Potrà chiamarvi a notte tarda per interrogarvi; potrà dirvi di aver saputo da uno di voi qualche cosa. Non credetelo ! La consegna è di non aprir bocca. Direte solo il vostro grado, nome e cognome e che appartenete alla R. Marina, e basta! A tutte le altre domande non risponderete; Ricordo questo non per gli ufficiali, né per i sottufficiali; ma per la "gente". - Stai sicuro, Comandante; acqua in bocca! - disse un marinaio siciliano. Tutti si volsero; Moccagatta sorrise e Giobbe fece cenno di assentimento con il capo. Nel caso foste impossibilitati ad agire, sapete come distruggere il mezzo. Basta aprire la valvolina e l'acqua del mare farà poi saltare la bomba dopo dieci minuti. Io sarò poco discosto dal Comandante Giobbe, per sostituirlo in ogni evenienza, quindi, per una causa qualsiasi, non trovando lui, troverete me. All'alba, gli ufficiali già lo sanno, il nostro ritorno sarà protetto. Non ho altro da dire, salvo a rispondere a chi volesse spiegazioni. Nessuno parlò. Il silenzio era veramente silenzio. - Viva il Re! - gridò Moccagatta. - Viva il Re! - risposero tutti. - Viva la Marina! - Viva! I Mas, con i mezzi d'assalto, avevano scostato alle 20. Presero prima la rotta verso ........ che seguirono per alcuni minuti allo scopo di ingannare il nemico nel caso da velivoli o da qualche sommergibile in agguato la zona fosse stata sorvegliata. Alle 21 fu cambiata per il Nord-Est, e alle 21,15 drizzarono direttamente su Malta. Lo stato del mare favoriva la navigazione che avveniva senza schiaffeggio dell'onda, e procedeva rapidissima a 35 miglia.
Su ogni Mas avevano preso posto gli equipaggi prestabiliti, che avrebbero dovuto operare separatamente. La costa siciliana si era già confusa col mare. Sole le cime dei monti apparivano come ingobbature sulle superficie dell'acqua. L'Etna laggiù ogni tanto vampava, nella notte, come un'immensa lanterna. Ognuno riviveva la sua vita. La famiglia, che a quell'ora si era già rinchiusa in casa; le donne, i bambini, le fidanzate, gli amori passati e presenti. Tutta questa gente non sapeva nulla; e ciò era anche una gioia per ciascuno, perché aveva saputo tacere. Forse la mattina seguente avrebbero salutato quella costa, che ora scompariva, con grida di gioia, paragonabili a quelle delle ciurme di Colombo, quando videro la terra; forse non l'avrebbero vista più; forse sarebbero passati degli anni prima di rivederla, perché il minor pericolo da correre era la Prigionia Si udiva il pulsare dei motori, le vibrazioni che si ripercuotevano sugli scafi, il borbottio agli scappamenti, e l'acqua che sciacquava, con una spuma effervescente, i fianchi delle navicelle.

Qualcuno aveva acceso la sigaretta, facendosi schermo con i camisacci dei compagni perché non si fosse visto il fiammifero acceso, e la sigaretta fu passata di mano in mano per la boccata che accomunava i destini. Il mozzicone servì ad accenderne altre per gli ufficiali e sottufficiali che le tenevano chiuse nei pugni. Poi si smise. Tutti capirono che non bisognava esagerare.
Cominciò l'impazienza. Qualcuno sbuffava perché avrebbe desiderato subito l'arrivo e l'azione. Il mare era nero nero. Sembrava inchiostro, mentre i baffi d'acqua, che i Mas gettavano di fianco, davano la sensazione del movimento. Oramai anche l'Etna era occultata dalla caligine. Verso Malta uno strato di vapore acqueo chiudeva come una barriera l'orizzonte. Moccagatta guardava il cronometro. Ogni tanto chiedeva, con il portavoce, al sottufficiale motorista, il numero dei giri. Ordinò un aumento di velocità, che, di li a poco, fu preso anche dagli altri Mas. Alle 22:40 diminuirono à 20 miglia. Dieci minuti dopo ridussero a 15.
Erano entrati nella cortina di nebbia che li favoriva. Tutti erano rivolti verso la prua. Gli occhi, abituati all'oscurità della navigazione notturna, cercavano ansiosamente la costa, che poteva apparire all'improvviso. Così fu. Il Mas di Moccagatta rallentò fino a fermarsi, mentre i motori seguitarono a pulsare. Giobbe accostò. Tutti i motori tacquero. Ci siamo! - disse Moccagatta - Saremo a un paio di miglia. Ritengo sia pratico per me restare qui. A bordo! - ordinò. Poi, quando furono imbarcati, Moccagatta si volse agli equipaggi: - Ragazzi attenti! Ricordate gli avvertimenti. Sappiate che a poppa del Mas che vi rimorchia la bandiera questa sera non è stata ammainata, perché domattina sia la prima ad essere baciata dal sole. Andate! Moccagatta strinse la mano a Giobbe con energia, che voleva dire molte cose. - Stai sicuro, Comandante! - disse Giobbe.
Poi il Mas si mosse, e quando i mezzi misero in tensione le cime che li legavano l'uno alla poppa dell'altro, Moccagatta, ritto a prua, li salutò con la mano. Il suo gesto fu visto profilarsi sull'orizzonte, e un " arrivederci, Comandante!", fu la risposta di più voci. Giobbe a poco a poco divenne un punto, poi scomparve. Per qualche attimo Moccagatta e il suo equipaggio udirono ancora il pulsare del motore, forse anche per suggestione, poi più nulla. Moccagatta rimase a lungo a prua, e sentì il viso indurito dall'emozione, e dal dispiacere di non essere con loro.

 

Precauzioni
Giobbe aveva fatto mettere in moto il motore elettrico. Si sentiva solo il gorgoglio dell'acqua avvitata dall'elica, mentre il Mas procedeva a 10 miglia puntando risolutamente verso l'imboccatura del Porto Grande di La Valletta; Due degli ufficiali facevano i rilevamenti e li trasmettevano a Giobbe che controllava la rotta. Man mano che la distanza diminuiva, la velocità veniva rallentata. Ad un certo momento fu "staccato" il motore, e il Mas "abbrivando", per qualche decina di metri, si fermò. Rimasero in ascolto. Tutti avevano il respiro sospeso. Non un rumore. La stazione radiofonica di bordo dava tutto tranquillo.
Si udiva solo il mormorio della leggera risacca che si frangeva contro la costa rocciosa. - Avanti adagio - ordinò Giobbe. Ancora qualche minuto, a sette od otto miglia, poi si fermarono. Si trovavano a meno di mezzo miglio dalla costa. I rilevamenti degli ufficiali confermavano la posizione. Giobbe strinse la mano a tutti. I mezzi furono "filati", e, mano mano, "sbracati". - Sono le 23,45;- disse Giobbe - io vi attenderò qui. In bocca al lupo, ragazzi! Nell'oscurità quegli uomini sollevarono il braccio in segno di saluto, poi, uno dietro l'altro, con palata sommersa, si allontanarono.
Presto sparirono dalla vista di Giobbe che, ritto a prua, avrebbe voluto vedere entrare i gruppi nelle due imboccature. Ma fu vana speranza, perchè l'ombra dell'isola lo impediva. Giobbe ordinò al personale del Mas di adoperare i remi per non essere "scarrocciati" dalla corrente. Bisognava restare sul posto, ed egli stesso, traguardando due punti elevati dell'isola, ordinava gli spostamenti a bassa voce. L'acqua che si rompeva contro lo scafo gli dette fastidio.
Mise la prua contro vento per mantenersi alla "cappa", e per offrire meno superficie all'onda. Ogni rumore doveva essere evitato benché sapesse che la risacca contro la costa lo avrebbe coperto. Subito dopo chiese l'ora al motorista, che la controllò al cronometro di bordo. Mezzanotte. Pensò che in quindici minuti forse avevano coperto la distanza. C'erano delle braccia vigorose ai remi. Gente ormai allenatissima alla remata sommersa. Concesse altri cinque minuti, che furono lunghi... Uno... due... tre.., e guardò l'orologio di bordo affacciandosi al boccaporto. Come era lungo il tempo ! Moccagatta a sua volta, si regolava egualmente. Manteneva la posizione e contava i minuti. Aveva vissuto, attimo per attimo, la prima mezz'ora. Poi, quando calcolò che Giobbe si era distaccato dagli altri, gli sembrò di quetarsi. Era l'azione che cominciava. Gli risovvenne l'impresa di Suda; del ventotto marzo. Anche quella volta aveva accompagnato i suoi uomini, e pensò che ormai doveva essersi abituato all'attesa. Ricordò le esplosioni che aveva inteso distintamente, una per una, e il mancato ritorno dei compagni. L'aspettativa poi dei lunghi giorni per saperne la sorte, e la gioia alla prima notizia che erano vivi; ma, purtroppo, prigionieri. Tornò col pensiero a quelli che stavano andando.
Riuscirebbero sicuramente. Tornerebbero ?... A questa supposizione tutte le difficoltà, che altre volte aveva superato con il raziocinio, non riusciva più a vederle chiare. Certo che se l'azione non fosse stata preceduta da quella di Suda; le difficoltà sarebbero state minori; molto minori... Ma... ma... ma per la sorte degli uomini non doveva preoccuparsi. Essi conoscevano il proprio destino. Era l'affetto che lo faceva paventare per loro, e anche perché, con quegli uomini, dopo avrebbe ritentato chissà quante volte ad Alessandria, a Gibilterra, alle quali aveva pensato da molto. Guardò l'orologio. Erano le 24,30. Ormai, se avevano superati gli sbarramenti, dovevano essere già dentro. Forse stavano scegliendo i bersagli. L'ora non era stata fissata per tutti eguale. Quelli che dovevano entrare nel Porto Piccolo avrebbero atteso le esplosioni degli altri nel Porto Grande. Se all'una non avessero udito gli scoppi, avrebbero attaccato senz'altro. Una mezz'ora passa presto, per chi ha da lavorare; però, non per chi aspetta come aspettava lui. S'udiva solo, ogni tanto, sugli scalmi, il cigolio dei remi, che vogavano a lento moto per vincere la corrente.

 

I violatori
Quelli partiti per l'attacco, erano più tranquilli. L'ansia li aveva invasi sino al momento in cui s'erano distaccati da Giobbe. Dopo tutto il vigore delle loro energie aveva preso il sopravvento. La palata procedeva giusta, come se fosse comandata.

A cinque sei metri uno dall'altro si distinguevano e potevano regolarsi. Dieci minuti dopo si fermarono e si accostarono. I sei che dovevano entrare nel Porto Grande serrarono. Gli altri due, dopo qualche attimo, in linea di fila, si allontanarono dirigendosi verso il centro dello sbarramento del Porto Piccolo. Ciascun gruppo, traguardando le sommità dei promontori, si regolava sulla direzione.
Quello dei sei, oltre doversi tenere distante dal molo, che chiudeva a scirocco l'imboccatura, e sul quale certamente si trovavano le sentinelle, aveva due ordini di sbarramento da superare. Giunsero. Il gruppo dei sei superò il primo e si diresse verso il centro del secondo, dove giunse quasi nell'istante nel quale l'altro gruppo arrivava al suo; che fu superato con lo stesso metodo, silenzio, rapidità e decisione. Poi, all'improvviso, per un attimo, un lampo fortuito di un riflettore batte' lo specchio d'acqua del Porto Grande e precisamente sul secondo sbarramento ove si trovavano i nostri "mastini". Fu il lampo che mise sottosopra il progetto.

Scoperti, si decisero senza più precauzioni. Accelerarono. Lo sbarramento fu superato proprio mentre il fuoco delle mitragliere batteva lo specchio d'acqua antistante. - Avanti, ragazzi; presto ! Non possiamo perdere un attimo! - disse un ufficiale. Ciò che avrebbe richiesto alcuni minuti di lavoro fu superato in un baleno. Le artiglierie cominciarono il tiro secondo l'inquadramento prestabilito.
Tra le colonne d'acqua che si sollevavano, mentre i riflettori illuminavano la zona, intravidero uno spazio non battuto. Vi sgusciarono rapidissimi, a pieno motore, inseguiti dai riflettori e dal tiro. Secondo gli ordini, si divisero i bersagli. Fu questo che mise in incertezza i tiratori; e i riflettori, per qualche attimo, per comprenderli tutti nei fasci di luce, finirono per perderne qualcuno. I nostri "mastini" ormai non badavano più a nulla. Zigzagavano paurosamente sfuggendo al tiro e poi...

 

Tormento
Mentre i violatori si appressavano alla meta, Giobbe non viveva più. Pensava con angoscia al caso che lo scoprissero, non per se, ma perché era il solo che poteva udire gli scoppi, e il solo che poteva rapportarlo a Moccagatta. Se lo avessero preso, avrebbero scoperto anche quelli che ormai erano dentro. E allora?! Pregava Iddio che i compagni riuscissero a superare gli sbarramenti inosservati. Era sicuro che dopo se la sarebbero sbrigata bene. Certamente ogni mezzo avrebbe colpito il suo bersaglio. Erano attimi supremi quelli che vivevano i due comandanti. Ciascuno avrebbe data la vita, senz'altro, risolutamente, e la promisero a Dio, purché i compagni non fossero scoperti prima dell'attacco. Appena fu acceso il primo riflettore, Giobbe trasalì. Gli crollarono in un istante tutti i sogni della vittoria. Dato il breve attimo in cui rimase acceso, pensò che non fosse stato per allarme, ma presto gli svanì la speranza perché il chiarore dei molti fasci sullo specchio d'acqua del Porto Grande lo disilluse; Si torceva le mani.
Vedeva benissimo quello che succedeva e udiva i mitraglieri sparare e poi le artiglierie. L'equipaggio del Mas era corso ai posti di combattimento mentre i vogatori seguitarono a remare. Moccagatta si accorse del primo lampo del riflettore e sussultò. Corse a prua; chiamò due uomini, salì sulle loro spalle per osservare meglio. Poi vide il grande chiarore dei grandi riflettori e udì il crepitio delle mitragliere, ovattato dalla distanza, e il rombo dei cannoni. No, no! I "mastini" non avrebbero fallito; qualcuno sarebbe giunto. Un riflettore cercava sul mare avanti l'imboccatura dei porti. Discese pensando che gli inglesi cercassero anche loro quelli che certamente li avevano accompagnati. Giobbe, non appena il riflettore si accese per illuminare il fronte avanti l'imboccatura dei porti, tremò; non per se, ma per il timore di essere scoperto e di non poter più attendere i compagni.
Ordinò subito di mettere in moto. Fece ritirare i rematori. Il fascio di luce ispezionò il mare, e si vedeva benissimo che si frangeva contro la nebbiolina. Sperò. Il fascio lo sfiorò, passò oltre, tornò ancora sulla sua zona. Un colpo di artiglieria giunse sulla sua dritta. Erano scoperti. - Avanti! - ordinò al motorista; e afferrò la ruota del timone spostando rapidamente il Mas con una virata fulminea per allontanarsi nell'oscurità. Una salva di batteria raggiunse la zona che aveva lasciato.
Due riflettori cercarono al largo. Moccagatta, seminascosto nella nebbiolina, stava immobile con il suo Mas. Ordinò di mettere in moto, e, dopo che un fascio di luce lo ebbe sorpassato, virò di bordo e si allontanò per un miglio, mentre una salva di batteria colpì l'acqua a poppavia, ad un centinaio di metri di distanza. All'improvviso un boato, cupo, lugubre, come di una mina grossissima, echeggiò, smorzato dal vento e dal rumore del mare. Giobbe ebbe un sussulto. Il cuore gli batteva forte. Poi un secondo boato più lontano. Ebbe, un attimo d'incertezza, pensando veramente che fossero mine, di quelle che fanno deflagare di notte per le fortificazioni. Ma gli sovvenne che le mine sono quasi sempre in serie e scoppiano, in simili casi, quasi contemporaneamente, incendiate dalla corrente elettrica. Altri due boati lo fecero sussultare di gioia. Con la gola secca, serrato e abbracciato agli uomini di bordo, che, come lui, erano in ansia, tendeva l'orecchio. - Sssst! - disse a quelli che gli erano d'intorno e non facevano alcun rumore.
Poi altri due boati più lontani, nell'altra baia. Dio mio! pensò, e disse: - Sono gli altri. Un corto silenzio, lungo come un'eternità ancora, ed erano secondi di minuto, solo secondi, e poi un altro boato. - Sette! - disse un sottufficiale. Nessuno disse parola. Tutto tornò tranquillo. - Sono sette?! - Sì, Comandante! Anch'io sette ne ho uditi. E l'ottavo? poi, dopo una pausa: Domanda! - disse sommesso al sottufficiale. -Sette! Sette! Sette! - si udì mormorare dagli altri. Tacquero. Ne mancava uno. Non sarà riuscito? Non avrà funzionato? Sarà stato scoperto? Ormai l'allarme era dato. Si sede', perché l'emozione era stata grande.
Ma, all'improvviso; un altro boato lo scosse. Otto! Otto! Era fatta! Giobbe abbracciava tutti e aveva le lacrime agli occhi. Si ricordò che doveva attendere per raccogliere i compagni che sarebbero venuti al punto stabilito. Controllò la posizione. Si erano discostati di poco. La corresse e raccomandò alla "gente" di guardare bene, e di aprire bene gli orecchi. Moccagatta aveva l'orologio in mano. Se l'era levato dal polso e lo maneggiava come un rosario. Tutta la responsabilità della partita era sua. Se non era riuscita, aveva sempre da rimproverarsi di non avervi partecipato, chissà, forse, per giustificare con se stesso che la sua presenza avrebbe favorito l'impresa. Ma poi pensò che erano ragazzi di polso; tutti; e li aveva saggiati bene in quei lunghi mesi di sperienze! Non potevano fallire.
Se erano riusciti ad entrare, la mattina dopo si sarebbe constatata la sparizione di alcune navi dalla flotta inglese nel Mediterraneo. - Quanto ancora per sapere? - si domandò. Giobbe avrebbe mosso per il ritorno alle due, e dopo pochi minuti sarebbe giunto. E se non arrivasse per, l'ora stabilita? Già, poteva darsi, che qualcuno ritardasse sugli altri, e non poteva certamente lasciarlo. Era umano, ma era anche pericoloso per i compagni. Poi alcuni boati, quelli stessi intesi da Giobbe, ma smorzati. Esultò. Non erano cannonate di grossi calibri. Di questo ne fu sicuro. I riflettori della piazza si accesero e lanceolarono il firmamento. Chiarore sulle rade. Una e un quarto. Dall'una e mezza l'attesa divenne spasmodica. Probabilmente gli inglesi non avevano ancora capito, e questo era confermato dai fasci luminosi che cercavano nel cielo. Avevano forse ritenuto che fossero bombe sganciate da aero piani altissimi? Poi tutto tornò nell'oscurità. Moccagatta si era seduto a prua. Guardava il cielo coperto di miriadi di stelle. Oramai si era convinto che l'azione era sicuramente avvenuta. Il chiarore dei riflettori significava che i ragazzi, i suoi "mastini", erano entrati. Poi i boàti e le salve di artiglieria confermavano le sue deduzioni. Ordinò di tornare, a lento moto, al punto che avevano abbandonato per non essere cannoneggiati.
Alle due pensò che Giobbe muoveva per il ritorno. L'orologio funzionava; non era fermo, e lo controllò più volte. Alle due e mezza saltò in piedi. Chiamò ancora la "gente" e raccomandò di guardar bene. Quello addetto alla stazione radiofonica di bordo disse che tutto taceva, ciò che preoccupò Moccagatta. - Allora il Mas alle due non si è mosso?! - disse. Comandante, probabilmente non saranno rientrati tutti! esclamò il sottufficiale motorista. - E se andassimo incontro? - disse il silurista. - No! non possiamo! Finiremmo per non trovarli più. Può darsi che non facciano rotta diretta, e allora chi troverebbero qui?! Alle due e cinquantacinque la stazione idrofonica percepì il primo rumore di elica. Moccagatta corse a sentire. Non c'era dubbio. Erano loro. - Tienimi informato, se dovesse cessare! - Signorsì! Ormai il pulsare caratteristico del motore del Mas si ripercuoteva distintamente sulla superficie del mare. Veniva avanti, non c'era dubbio. Moccagatta era a prora; dietro di lui il silurista. - Comandante, sono loro, sono loro!. Moccagatta non rispondeva, ma aveva afferrato con una mano la spalla del sottufficiale e la stringeva spasmodicamente. Alle tre il frullare del motore si udì vicinissimo.
Erano a poca distanza Ed infatti di li a poco sembrò di vedere una massa scura profilarsi verso l'orizzonte, che andava chiarendosi per l'alba ormai prossima.

- Il segnale! - disse Moccagatta. Il silurista fece funzionare un lampo verde con la lampada da segnalazioni. Il rumore dei motori cessò; poi due lampi eguali risposero dal Mas di Giobbe. - Sono loro! L'altro segnale!. E la lampada vampò il rosso. Il Mas di Giobbe riprese la corsa, e, dopo qualche decina di secondi, si portò a cento metri sulla diritta, per dirigere su Moccagatta a lento moto Moccagatta si era abbassato per vedere se il profilo del Mas era popolato di uomini. Due soli.
Saranno dentro, pensò, ad asciugarsi. Quando i due Mas furono accosto, Moccagatta saltò sull'altro. - Giobbe! Comandante ! - rispose Giobbe, andandogli incontro; s'abbracciarono. E gli altri? - Otto scoppi, otto, li ho uditi, li abbiamo uditi tutti! Anch'io li ho uditi, - disse Moccagatta, - ma non tutti! Si abbracciarono di nuovo. - E gli altri?! - chiese ancora Moccagatta. Ho atteso fino alle due e quaranta. Non potevo più restare. Non avresti saputo. - Allora è finita per quei ragazzi! Comandante, era anche previsto! - rispose Giobbe. - Era previsto!... Sì!... Era anche previsto!... Dopo qualche attimo di silenzio, Moccagatta, alzando la voce per essere udito da tutti, disse: - I nostri compagni hanno fatto il loro dovere. L'azione è riuscita. Sapremo imitarli. Viva l'Italia! Viva! - gridarono gli altri senza più alcuna preoccupazione. - A casa! Moccagatta e Giobbe saltarono sull'altro Mas e la navigazione fu iniziata a pieno regime. Dirigi su Pachino! -' disse, Moccagatta al nocchiere ...... gradi ! Avanti a tutta forza! Poi Giobbe raccontò.

Dopo il racconto, Moccagatta disse: - All'alba, come sai, l'aviazione da caccia sarà sulla nostra rotta. Speriamo che ci trovino, siamo in ritardo. Un ricognitore veloce, appena possibile, eseguirà le fotografie sui porti da 7.000 metri. Alle nove avremo le notizie sui risultati; ed ora dimmi come hai tardato? Un quarto d'ora sì, ma quaranta minuti! - Hai ragione - gli rispose Giobbe - Ma anche quando ho avuto la sensazione che gli inglesi avevano capito da dove era venuto l'attacco e quando ho inteso gli otto scoppi, ho atteso, sperando sempre, di minuto in minuto. Ti confesso che se tu non fossi stato ad aspettarmi, sarei rimasto ancora! - Ti comprendo! Grazie ! - gli rispose l'altro e gli strinse forte la mano. Gli uomini di bordo, che si erano sdraiati presso il boccaporto, avevano ascoltato il racconto rivivendo le emozioni di quelli che avevano violato; per ,la prima volta nella storia, la munitissima Malta, la roccaforte della potenza inglese nel Mediterraneo. Giobbe teneva la mano di Moccagatta nelle sue e parlava, parlava, raccontando di nuovo tutto quello che aveva visto e inteso: il fuoco delle batterie contro di lui; e com'era sfuggito alla ricerca dei riflettori.
Otto, otto scoppi, Moccagatta! Li ho intesi, stai certo; li abbiamo intesi tutti! - Anch'io sono stato scoperto - disse Moccagatta - Abbiamo appena fatto in tempo a spostarci da una salva di batteria, caro Giobbe. Penso che avranno smesso dubitando sulla nostra presenza. Anche io lo penso, perché bastava battere il mare con i riflettori più potenti, e non saremmo sfuggiti alla scoperta. In quel momento un ronzio di motori, in alta quota, sospese gli animi degli equipaggi, e Moccagatta, ricordandosi dell' azione concomitante dell'aviazione italiana, rassicurò tutti dicendo: - E' la nostra Aviazione che va ad operare su Malta, e probabilmente, batterà quegli stessi aeroplani che staranno approntando per lanciare contro di noi. Il rumore divenne più distinto poi si smorzò verso Sud. Tuffi erano tornati ai loro posti. Si avvicinava l'alba ed erano distanti circa due ore dalla costa.
Per un'ora sarebbero stati ancora tranquilli, poi certamente l'Aviazione sarebbe usata ad esplorare il mare per cercare quelli che sicuramente avevano dovuto appoggiare gli otto "mastini". Moccagatta rettificò la rotta, ordinò di indossare i salvagente, fece accostare l'altro Mas e Giobbe vi saltò su per prenderne il comando. Avevano preso gli accordi per il caso fossero stati attaccati dall'Aviazione, e cioè avrebbero zigzagato ad angoli molto acuti, mantenendosi però sempre a contatto per l'appoggio reciproco, ma seguendo come direttrice la rotta che avevano preso. Il pericolo maggiore sarebbe stato nel "lasco" di tempo fra le quattro e le quattro e mezza. Dopo si sarebbero trovati presso la costa siciliana e non avrebbero dovuto più temere. Il mare era buono. La brezza spirava dal largo verso terra e li favoriva. Era l'alba. A bordo gli uomini canticchiavano sottovoce. Sul Mas di Giobbe la bandiera era a "riva". Moccagatta, al levar del sole, ordinò di alzare la sua. Quattro uomini si radunarono. Moccagatta si scoprì, si scoprirono gli altri. La piccola bandiera fu inalberata. Anche dall'altro Mas, che aveva conservato la sua, a "riva" tutta la notte, avevano assistito alla cerimonia a capo scoperto, con il cuore alla Patria e la mente ai compagni che avevano lasciato laggiù. Uno sulla scia dell'altro i due Mas filavano velocissimi. Dopo la cerimonia, a Moccagatta sembrò di aver fatto un bagno di purificazione.
Si sentiva leggero ma non felice, perché un velo di tristezza, per i compagni non tornati, gli aveva offuscato il viso. Navigarono così un'altra mezz'ora, quando dal Mas di testa furono fatti dei grandi gesti dagli uomini che erano in coperta. Quelli del secondo prestarono attenzione, e, dopo un po', osservando l'orizzonte verso l'alto, videro alcuni punti scuri che, ad un tratto, brillarono dei riflessi del sole. Era l'Aviazione che, proveniente dalla costa sicula, veniva loro incontro. A bordo furono egualmente presi i posti di combattimento, perché potevano essere anche nemici. Ma ben presto spari ogni dubbio perché li videro sfilare a poppavia, allontanarsi e poi tornare indietro, rimanendo sempre in posizione da coprir loro la ritirata. Moccagatta indicò con un cenno a Giobbe che erano sotto buona scorta, e questi fece cenno col capo di aver capito. I due ufficiali con i binocoli osservavano i caccia che incrociavano, quando l'attenzione di Giobbe fu attratta da un altro nugolo di aeroplani che veniva a pruavia.
Fece cenno a Moccagatta, glielo comunicò ancora con il megafono; l'altro con lo stesso mezzo gli rispose di aver veduto. Oramai, sotto la scorta dell'arma aerea, si sentivano rinfrancati. Il mare però era diventato leggermente mosso, che per scafi come quelli dei Mas significava beccheggiare e, per i tiratori delle mitragliere, risolvere il problema del puntamento, che, contro bersagli in aria, diveniva difficile. Un sottufficiale richiamò l'attenzione di Moccagatta verso Sud. Fumo all'orizzonte. Il Comandante osservò con il binocolo, poi, col megafono, avviso Giobbe che c'erano delle torpediniere. La distanza era tale, che non sarebbero stati raggiunti, ma la cosa significava che il nemico aveva ordinato l'inseguimento. Navigarono ancora qualche minuto, poi videro che da nord della grande spuma bianca segnava una lunga linea e andava incontro alla formazione navale nemica, di cui si distinguevano gli alberi del bastimento capofila. Moccagatta, col megafono, gridò a Giobbe: - I nostri Mas ! Aveva appena finito di dirlo, che il cannone tuonò da bordo delle navi inglesi. Gli equipaggi dei due Mas guardavano ansiosi. Tre o quattro colonne di acqua si elevarono all'orizzonte a pruavia degli attaccanti, che filavano rapidissimi verso il nemico. Oramai l'attacco dei nostri avrebbe ritardato l'inseguimento.
Poi una vera tempesta di colpi si abbatte' avanti le saettanti frecce del mare, che non sostarono un attimo. La linea bianca si biforcò, diramò in quattro. Poi una virata del primo Mas verso quello di Moccagatta; indi una colonna di acqua si alzò sotto il bordo della nave inglese capofila. Colpita. Il Mas di testa aveva lanciato e centrato col siluro. La zona si copri di fumo che nascose l'orizzonte. Ma ad un tratto videro uno dei gruppi dei velivoli, quello che incrociava a poppavia, tuffarsi rapidissimamente nell'aria. Giobbe avvisò col megafono Moccagatta. Si videro venir giù come bolidi, poi sollevarsi, ed allora si accorsero di una formazione aerea nemica che, a bassa quota, veniva verso di loro. I due gruppi si scontrarono. Fu un crepitare di mitragliere.
Moccagatta ordinò col megafono: - Ai posti di combattimento ! Gli uomini erano già a posto, ma tolsero le sicure alle armi. La massa dei velivoli, in un frammischiamento disperato, sembrava un nugolo di moscerini volteggianti sopra uno stagno. I Mas filavano a motori in pieno per aumentare la distanza dal nemico, contro il quale non avevano una sufficiente difesa, mentre il mare avrebbe reso loro il tiro assai difficile, con gli appruamenti che l'onda causava. Ma da Est un altro gruppo di caccia nemici si avvicinava rapidissimo. Moccagatta avvisò Giobbe. Si vide allora l'altro gruppo dei nostri velivoli affondare nell'aria e affrontarli. La battaglia aerea oramai si era avvicinata ai Mas; Si vide laggiù precipitare, prima uno poi un altro velivolo in un rogo di fuoco e tuffarsi nel mare.
Quelli provenienti da Est si divisero; e, mentre una parte tratteneva in combattimento i nostri, due pattuglie si lanciarono contro i Mas di Moccagatta e di Giobbe. Moccagatta ordinò il fuoco, e, dopo le prime raffiche; per sfuggire al puntamento nemico le due navicelle cominciarono a zigzagare paurosamente a pieno motore. Ma le due pattuglie nemiche affondarono nell'aria da direzioni diverse. Una da Est scaricò le armi e sfuggì per Ovest; l'altra da proravia sfuggì, dopo la scarica, per Est, con una manovra rapidissima. Le scariche in parte erano finite in acqua, ma avevano anche colpito le navicelle, che seguitavano a zigzagare con accostate accentuatissime. A bordo si vide del fumo. Gli uomini corsero con gli estintori. Poi uno, due velivoli del secondo gruppo italiano precipitarono in acqua.
Poi altri due velivoli inglesi, ardendo come torce, sprofondarono in mare. Intanto la battaglia andava accostandosi sempre più verso la costa sicula. I velivoli inglesi tornarono contro i Mas. Tre velivoli italiani si precipitarono contro di loro. Un altro accanito combattimento si sviluppò quasi nel cielo delle due navicelle, che non potevano quasi più difendersi per non colpire i nostri. Moccagatta e Giobbe erano alle mitragliere. Avevano sostituito i tiratori che erano stati colpiti dall'attacco nemico. Due caccia inglesi, uno dopo l'altro, per direzioni diverse, attaccarono il Mas di Moccagatta. Contro di loro si lanciò un velivolo nostro. Alcune scariche di Moccagatta, che poi cadde riverso. Uno dei caccia, forse quello che lo aveva colpito, precipitò a sua volta sotto i colpi del caccia italiano.
A bordo del Mas di Moccagatta fumo bianco, molto fumo, che lo nascondeva a Giobbe. Questi stava puntando un caccia nemico che, come un bolide, gli stava piombando addosso, quando una rapidissima accostata del nocchiere gli impedì di mirarlo. Un altro caccia, inseguito da uno dei nostri, gli piombò su un fianco e gli lanciò una raffica. Giobbe si abbatte' sulla tonda, nelle braccia del silurista. Il caccia inglese precipitò a sua volta sotto le raffiche del nostro che lo aveva raggiunto. Un altro caccia nemico, precipitò nella scia dei Mas.
La battaglia era finita. Gli inglesi si ritiravano perché forse all'orizzonte avevano veduto un altro nugolo dei nostri cacciatori che accorreva. I due Mas fumavano paurosamente, mentre la corsa proseguiva rapidissima come non mai.

 

Arrivo
La terra era vicina. Dopo un po' sul Mas di Moccagatta si fermò il motore. Fu azionato quello di riserva e la corsa fu ripresa. I nostri piloti da caccia rimasero a protezione finché non furono rilevati da una formazione sopraggiunta, e videro distintamente il fumo pauroso a bordo delle navicelle, che si accartocciava in spire infernali a poppavia.
La corsa sola velocissima poteva impedire il propagarsi del fuoco, e che il vento prodotto limitava sempre verso poppa.

 

Apoteosi
I due Mas approdarono velocissimi nel porticciuolo di...... . In un attimo da bordo e da terra, si pensò a scaricare i feriti mentre il fumo annebbiava tutto all'intorno. Della battaglia erano stati informati gli Alti Comandi da un ricognitore che, da alta quota, vi aveva assistito. Verso la direzione del probabile approdo furono inviate le autoambulanze, che quasi volavano sulla strada asfaltata tra Siracusa e ........ Lo sbarco era avvenuto rapidamente. I superstiti e gli accorsi cominciarono a gettare sugli incendi palate di sabbia che era stata scaricata il giorno avanti da un bragozzo. Un medico civile accorso si prodigò sui feriti.
Moccagatta e Giobbe erano uno accanto all'altro, immobili, e sorridevano al cielo. Le bandiere di bordo erano state ammainate per coprirli. Il crocchio della gente accorsa era muto e desolato. Il sottufficiale silurista di Moccagatta, che lo aveva sempre fedelmente seguito, si scoprì. Si scoprirono tutti. Poi recitò la Preghiera del Marinaio che ogni sera i naviganti rivolgono a Dio.

 

.: la situazione tecnico/tattica

L'impresa
Nella notte sul 26 luglio 1941, otto mezzi di assalto, scortati direttamente e indirettamente da alcuni Mas si presentarono avanti le due imboccature del Porto di La Valletta, che è costituito da due grandi insenature adiacenti, una delle quali, la maggiore, è chiamata Porto Grande e l'altra Porto Piccolo. Nella prima, che, per la sua conformazione naturale si frastaglia in senso perpendicolare in alcune altre insenature lunghe e ben protette dal mare e dai venti, viene di solito ancorata la flotta da guerra; nell'altra, meno frastagliata, le navi mercantili e quei bastimenti da guerra che, per ragioni di ancoraggio e particolarmente logistiche e di manovra in porto, non conviene radunare nel Porto Grande.
L'imboccatura del Porto Grande è limitata in parte da una alta diga che protegge lo specchio d'acqua interno dai venti di scirocco, rendendolo tranquillo per le navi all'ancoraggio, e particolarmente per quelle che vengono attraccate alle banchine. Le due imboccature dei porti, in linea d'aria, sono ampie circa 350 metri ciascuna, quindi il passaggio di qualsiasi natante, ed anche di un semplice nuotatore, non può passare inosservato.
All'imboccatura del Porto Piccolo invece, che, per il suo stesso orientamento rispetto ai venti, è protetto naturalmente, non è stata costruita alcuna diga.

 

Ostruzioni
Nel Porto Grande, dal centro della diga foranea, con direzione est-nord est, sud-sud ovest, gli inglesi hanno situato il primo sbarramento antisommergibile, costituito da tronchi di acciaio vuoti, e quindi galleggianti, articolati tra loro, appesa al quale è sistemata una rete di acciaio, a larghe maglie, che può scendere anche a profondità notevoli, fino dove il sommergibile non può arrivare. Le ostruzioni, essendo articolate, sono apribili in uno o più punti, lasciando liberi i varchi per il passaggio delle navi.
Appese a queste reti vi sono, opportunamente disposte, delle torpedini. Qualora un sommergibile tentasse di passare, anche cercando di tagliare la rete con cesoie speciali, il violatore verrebbe chiuso come in una sacca che la rete gli farebbe intorno, mentre le torpedini, andandogli a urtare contro, scoppierebbero. Non è da escludersi che, data la strettezza delle imboccature dei porti, appositi dispositivi elettrici siano stati sistemati per gli allarmi, perciò l'entrata era da ritenersi impossibile.
Un'altra ostruzione, uguale per struttura e conformazione alla prima, circa un miglio più indietro, sbarrava il Porto Grande in tutta la sua ampiezza; anche qui limitata a poche centinaia di metri; quindi le difficoltà sarebbero state tali per superarla, da rendere inutile qualsiasi tentativo.

 

Difesa
La difesa delle imboccature e degli specchi d'acqua dei porti è affidata ad un complesso di armi e di mezzi di illuminazione, efficacemente organizzato e diretto da un comando indipendente. La strettezza dei passaggi e la poca ampiezza degli specchi d'acqua, compresi nei due canali che portano al centro dei porti, ha dato la possibilità di predisporre un tiro antinavale con numerose batterie incavernate sia nei forti che nelle caverne scavate nella viva roccia, e di preorganizzare il tiro antinavale e antiaereo con numerose postazioni di mitragliere pesanti e cannoncini di piccolo calibro.
Questo tiro organizzato consiste nella divisione degli specchi d acqua sottostanti in tanti settori, sui quali le armi, opportunamente puntate e obbligate a minimi spostamenti, sono in condizioni di battere, in ogni attimo, tutto lo spazio sottoposto, senza possibilità di lasciare scampo a chi tentasse attraversarlo. Analogamente il tiro ravvicinato antiaereo è stato predisposto di modo che lo spazio, dalla superficie del mare fino ad un'altezza maggiore di 45° in elevazione, risulti completamente battuto dalle armi in postazione, ognuna delle quali, agendo in una parte del settore, difende in continuazione tutte le provenienze dall'aria.
Lo stesso tiro può essere impiegato anche contro bersagli in acqua, quindi la difesa antinavale, con il concorso dei due sistemi, è da considerarsi perfettissima.
Se nella notte, per fare il caso più difficile, i riflettori non funzionassero, anche per volontà del Comando, per non rivelare ai bombardieri dall'alto la posizione dello specchio d'acqua, basterebbe ordinare il fuoco alla cieca, perché le armi, agendo ciascuna in un limitato settore, possono sicuramente battere anche il più piccolo spazio, senza tema di lasciarne invulnerato una minima parte.
L'intervento dei riflettori, opportunamente incavernati, e giuocanti in un ristretto settore, offre la possibilità di tenere continuamente illuminato a giorno lo specchio di acqua e tutte le insenature possibili, senza possibilità che alcun angolo o spazio possa rimanere in ombra.

 

L'attacco
Contro questa organizzazione, la più perfetta di tutte le zone fortificate del mondo inglese, si accinsero i nostri nuclei d'assalto, preparati coscienziosamente per lunghi mesi, e con il sistema sperimentato felicemente nell'attacco alla Baia di Suda, nell'iso1a di Creta, nella notte sul 28 marzo 1941.
A sera inoltrata del 25 luglio dello stesso anno, otto mezzi d'assalto, scortati da........ Mas, si erano presentati innanzi a La Valletta, con l'ordine di entrare a tutti i costi e colpire le navi inglesi alla fonda, nell'interno dei due Porti. L'operazione era andata bene fino a un certo punto, senza destare l'allarme nemico, sennonché, ad un certo momento, un riflettore acceso per un attimo dal nemico, fece scoprire un gruppo di nostri assaltatori.
Fuori dell'imboccatura del Porto Grande, era rimasto il Mas con a bordo il capitano di Corvetta Mario Giobbe, che aveva condotto i mezzi fino all'inizio dell'attacco, e con l'incarico di ricuperare gli assaltatori non appena fossero di ritorno dall'impresa. Un altro Mas, con a bordo il capitano di Fregata Vittorio Moccagatta, comandante del Nucleo dei mezzi di assalto, era dislocato più al largo, pronto ad appoggiare il Mas di Giobbe o a sostituirlo in caso di necessità. Altri...... Mas erano rimasti più al largo, con l'incarico di proteggere la ritirata se fossero stati inseguiti da unità marittime nemiche. In quella stessa notte l'Aviazione doveva attaccare gli aeroporti dell'isola di Malta, sia per distrarre l'attenzione del nemico che per proseguire la sua metodica opera di distruzione sugli apprestamenti aeronautici. Poiché l'operazione di attacco, qualunque sarebbe stato l' esito, si sarebbe protratta, col ritorno dei Mas, a giorno fatto dato che si era in estate, era stato predisposto che la nostra aviazione da caccia avrebbe protetto la loro navigazione contro eventuali offese dell'aviazione da caccia nemica, che, appena giorno, sarebbe stata sicuramente inviata sulle loro probabili rotte.
Come abbiamo detto, i nostri assaltatori furono scoperti, e benché illuminati dai riflettori e battuti dal fuoco incrociato di tutte le armi, si lanciarono egualmente contro i bersagli prescelti, e gli otto ordigni, scaraventati a velocità folle, furono uditi tutti scoppiare dal Comandante Giobbe. Intanto che l'attacco avveniva, e dopo che il riflettore aveva scoperto gli assaltatori, la difesa dell'isola scoprì anche i due Mas di Moccagatta e di Giobbe, contro i quali diresse il fuoco delle batterie costiere. Costoro, malgrado fossero stati scoperti e attaccati, non si allontanarono, ma rimasero nella zona, e, con opportune manovre, rapidissime, sfuggirono al tiro e si nascosero nella oscurità.
Per l'allarme dato nella piazzaforte e in conseguenza del quale erano stati cannoneggiati da parte nemica, i due Mas avrebbero dovuto ritirarsi, perché ben poche speranze potevano rimanere per recuperare i compagni, che non avrebbero potuto più uscire dai porti. Tuttavia, lo spirito di cameratismo, il sentimento del dovere, la speranza che gli assaltatori nel trambusto dopo gli attacchi, riuscissero ad evadere, fece attendere il comandante Giobbe oltre l'ora prescrittagli come limite per l'attesa, ciò che poi causò un attardamento in pieno giorno ai due Mas che furono inseguiti dalle navi uscite alla ricerca e dall'aviazione nemica.
Dopo che svanì ogni speranza di ricuperare i compagni, il Comandante Giobbe, quando raggiunse Moccagatta, felice di poter rapportare che l'azione era riuscita, malgrado la reazione nemica, era quasi fuori di se dalla gioia perché poteva testimoniare di avere udito distintamente gli otto scoppi, che sicuramente erano avvenuti contro altrettanti bersagli. L'aviazione italiana, alle prime luci del 26 luglio, si trovò sulla zona prestabilita per proteggere la ritirata agli audaci, e un velivolo da ricognizione fu inviato a settemila metri per fotografare la zona dei porti e verificare così gli effetti dell'attacco notturno.
Ma, sin dall'alba, l'aviazione da caccia nemica era stata inviata in alta quota per interdire l'accesso sull'isola a qualsiasi velivolo che avrebbe potuto fotografare gli effetti dell'impresa notturna, mentre i porti venivano completamente coperti di fumo e nebbia artificiale dai bastimenti, per impedire la vista e la possibilità di fotografare; annebbiamenti che furono proseguiti per alcuni giorni. Il fumo e la nebbia sono i migliori indizi per noi delle perdite inflitte al nemico, e che conosceremo dopo la guerra, quando non sarà più possibile nasconderle e quando dovranno essere conosciute per necessità politiche, militari e storiche.
L'attardamento di Giobbe portò di conseguenza che i Mas furono scoperti quando erano ancora lontani dalla costa siciliana. Le navi nemiche, uscite alla ricerca, li inseguirono e l'aviazione da caccia attaccò questi valorosi. Mentre gli altri Mas di protezione attaccavano le unità navali e affondavano un cacciatorpediniere, (fu visto affondare da un aereo), i nostri due Mas, con Moccagatta e Giobbe, vennero attaccati dall'aviazione nemica contro la quale si difesero con le armi e con la manovra in acqua; mentre la nostra aviazione interveniva nel combattimento a loro protezione.
La battaglia aerea causo alcuni abbattimenti di velivoli, fra i quali sono da considerare tre nostri cacciatori, mentre il velivolo inviato in ricognizione sull'isola veniva abbattuto dalla caccia nemica. I due Mas di Moccagatta e Giobbe furono colpiti, e i due ufficiali lasciarono la vita proprio mentre la vittoria aveva loro arriso. Le due navicelle poterono giungere a terra, però con incendi a bordo, mentre il nemico fu costretto a desistere dall'azione e ritirarsi.

 

.: i profili di Moccagatta e Giobbe

Ricompense al Valor Militare
Alla memoria dei due valorosi fu concessa la medaglia d'Oro al Valor Militare, con le seguenti motivazioni.

Capitano di Fregata VITTORIO MOCCAGATTA "Comandante di un gruppo di forze d'assalto della Regia Marina, consacrava con ardente passione e purissima fede la sua instancabile opera nell' approntamento di mezzi di offesa e nella preparazione dei suoi uomini a sempre più ardui cimenti. Rinnovando con più vasto disegno le gesta eroiche di una sua precedente impresa, organizzava ed eseguiva il forzamento di una munitissima base navale nemica, scagliando con impeto irresistibile i suoi mezzi di assalto contro le unità alla fonda nel porto espugnato ad onta, della incombente e violentissima reazione di fuoco.
Sulla via del ritorno, attaccato da numerosi aerei nemici, cadeva falciato dalle raffiche di mitragliera, mentre sui mari della Patria vibrava ancora l'eco della vittoria e assurgeva ai fastigi dell'epopea la gloriosa impresa, alla quale aveva donato in olocausto la vita".

Capitano di Corvetta MARIO GIOBBE "Volontario nelle forze d'assalto della Regia Marina; dedicava con vibrante entusiasmo e fede ardente tutte le sue energie al servizio e al potenziamento di speciali mezzi di offesa, con i quali era impaziente di superare le gesta già compiute nelle operazioni di Spagna e di Albania, e nel presente conflitto.
Al comando di una formazione destinata al forzamento di una munitissima base nemica, dopo aver atteso ad immediato contatto delle difese avversarie, il momento favorevole all'azione, lanciava, con cuore teso alla meta, attraverso il varco aperto negli sbarramenti, sotto la violentissima reazione di fuoco del nemico, i suoi mezzi di assalto, la cui potenza distruggitrice si abbatteva inesorabile e precisa sulle unità nemiche.
Falciato, sul ritorno, da raffiche di mitragliere e di aerei nemici, suggellava, con la morte il coronamento dell'epica impresa già consegnata con l'aureola della gloria ai fasti della Patria".

 

Note biografiche
Capitano di Fregata VITTORIO MOCCAGATTA Il capitano di Fregata Vittorio Moccagatta era nato a Bologna l'11 novembre 1903.
Entrato all'Accademia Navale, era stato nominato Guardiamarina nel 1921, dimostrando, fino dai primi anni della sua carriera militare, brillanti requisiti morali e professionali.
Promosso sottotenente di Vascello e successivamente tenente di Vascello, aveva avuto modo, durante incarichi di particolare responsabilità, di riconfermare tali doti che gli procurarono, in breve tempo; la nomina a capitano di Corvetta.
Con questo grado aveva preso parte, imbarcato su unità da guerra, alla campagna per la conquista dell'Impero e alle operazioni militari nella guerra di Spagna. Durante una missione nelle acque spagnole, al comando del suo sommergibile, affondava, in prossimità della costa nemiche, un piroscafo contrabbandiere.
Per questa azione di guerra gli veniva concessa la medaglia d'argento al V. M. Era stato promosso capitano di Fregata il primo gennaio 1939 e le sue doti di pronta intelligenza, di cultura e di provata competenza professionale, lo avrebbero certamente condotto a raggiungere i più alti gradi nella R. Marina.
Era scrittore di cose militari di notevoli qualità, ed aveva collaborato a quotidiani e riviste.

Capitano di Corvetta GIORGIO GIOBBE Il capitano di Corvetta Giorgio Giobbe era nato a Bologna il 20 marzo 1906. Entrato all'Accademia Navale era stato nominato Guardiamarina nel 1927.
Sottotenente di Vascello nel 1929 e tenente di Vascello nel 1932, aveva assolto, con intelligenza e competenza, gli incarichi a lui affidati. Da tenente di Vascello aveva partecipato alla Campagna per la conquista dell'Impero, e alle operazioni militari nella guerra di Spagna distinguendosi in varie missioni di guerra.
Promosso capitano di Corvetta, nel marzo 1939, aveva partecipato alla spedizione d'Albania. Trovatosi, durante una missione di guerra, sotto nutrito fuoco avversario, aveva manovrato la propria unità con sereno sprezzo del pericolo meritandosi la: medaglia di bronzo al V. M. per aver portato efficace contributo all'azione.
Gli era stata anche concessa la croce al merito di guerra. Durante la guerra attuale, imbarcato quale comandante militare di una nave trasporto, destinata ai rifornimenti di una base d'oltremare, sosteneva in pieno Mediterraneo due rischiose azioni di guerra.
Mentre nella prima, nonostante la deficienza di notizie sulla sorveglianza del nemico, riusciva a portare a termine una difficile missione; nella seconda, con il piroscafo da lui comandato, di considerevole mole e limitata velocità, operava con prontezza di decisione dimostrando ferma volontà e perizia marinaresca nell'assolvere l'arduo compito affidato al suo comando.
Per questa azione gli era stata concessa la medaglia d'argento al valor militare. Ufficiale superiore di grande intelligenza e cultura, di raro coraggio e di salda preparazione professionale, era anche scrittore apprezzato di argomenti navali.

 

 

 

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