Ultimo Urlo - Inviato da: Panzerfaust - Sabato, 02 Gennaio 2010 15:56
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La dottrina militare della Decima

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la dottrina militare della Decima

a cura di Manuel di Casoli

Un esempio di produzione dottrinale militare nel Periodo 1943-1945
Decima Flottiglia M.A.S. – Comando Divisione “Decima”

Fondamenti dell’addestramento.

  

.: oggetto dello studio

Il presente lavoro nasce dal ritrovamento, pressoché casuale, di una pubblicazione, o in gergo tecnico corrente "libretta", edita dalla X^ Flottiglia M.A.S. – Comando Divisione "Decima", risalente presumibilmente alla fine del 1944 e relativa allo "Addestramento della Fanteria", vol. 2° "Impiego ed addestramento tattico", per i tipi di Giulio Tos – Ivrea. Del documento viene qui analizzata la sola premessa, che -a prescindere da ogni valutazione tecnico-militare- costituisce un'eccezionale testimonianza dell'essenza stessa di una straordinaria formazione militare.

Non è stato possibile, almeno fino ad ora, reperire il volume primo della pubblicazione.

L'interesse per le attività belliche sui due fronti creatisi dopo la tragedia dell'8 settembre 1943, per i tecnici, gli addetti ai lavori ed i cultori della Storia deve ovviamente prescindere da ogni e qualsiasi considerazione che non sia –appunto- tecnica e storica.

Cionondimeno, il carattere fondamentale che contraddistinse la X^ Flottiglia M.A.S. – e quindi anche la Divisione "Decima"- fu senza dubbio alcuno la sua assoluta atipicità, che la storia della Grande Unità (1) dimostra incontrovertibilmente.

(1) "Grande Unità" è un reparto costituito da più unità di Armi e Servizi diversi. Nell'ordinamento italiano dell'epoca, sono G.U. le Brigate, le Divisioni, i Corpi d'Armata, le Armate ed i Gruppi d'Armata. Tali Enti erano costituiti da reparti di Fanteria, Cavalleria, Artiglieria, Genio, Genio Telegrafisti e Servizi (Sanità, Amministrazione, Autieri, Commissariato, Servizi Tecnici).


Prima di tutto, un'atipicità per così dire "morale", che emerge prepotentemente e che meglio vedremo in seguito.

Poi un'atipicità nell'indipendenza che la X^ ebbe fin dall'origine e conservò sino alla fine, sia dal Tedesco (contro il quale si schierò anzi assai spesso per tutelare interessi nazionali e posizioni di principio), sia dalla stessa R.S.I. e dalle sue istituzioni militari, ivi compresa la Segreteria per la Marina da Guerra Repubblicana.

E una notevole atipicità troviamo nella sua stessa nascita: la Grande Unità, infatti, si formò mano a mano che affluirono –inaspettati almeno nella quantità- a La Spezia migliaia di volontari, decisi a continuare a combattere "per l'Onore dell'Italia" che sentivano tradito dall'armistizio, anche se consapevoli dell'enormità dell'intento e dell'ineluttabile sconfitta militare alla quale andavano incontro.

Assistiamo, quindi, al formarsi graduale di molti reparti, per lo più a livello di battaglione, composti da personale di eterogenea formazione militare se non addirittura, e frequentemente, proveniente dalla vita civile.

Minimo comun denominatore era la volontà di servire l'Italia, riscattandone l'onore tradito anche con un sacrificio che appariva disperato sin dal principio, con uno spirito che vedremo trasparire nettamente anche dalla produzione documentale della X^, oltreché dalle sue azioni militari.

Al di là di ogni possibile giudizio di diversa natura, quindi, si impone il dovere di rispettare una scelta coraggiosa quanto nobile, quand'anche non appartenga all'opinione di tutti.

Rimane, inoltre, incontestabile la considerazione che il progresso sia frutto della metabolizzazione di ogni spunto positivo, di qualsivoglia provenienza, purché concettualmente valido ed onesto. E l'onestà e la validità dell'esperienza della X^ Flottiglia M.A.S. non possono certo essere messe in discussione.

Sia comunque chiaro che a tutti coloro che sacrificarono la propria vita, perdendola o meno, per l'Italia va il nostro commosso e grato pensiero, di italiani e di soldati.

 

.: valori e limiti della pubblicazione

Di indubbio rilievo ed interesse è il fatto che, in piena guerra ed in stato di grave carenza di ogni supporto logistico, una Grande Unità nata sull'onda degli eventi sia stata in grado di provvedere autonomamente alla produzione di una pubblicistica, tra l'altro di notevole rilievo tecnico e di assoluta indipendenza concettuale.

Nella fluida ed incerta situazione conseguente all'armistizio, il fatto che un'Unità appena costituita e pur sempre in fieri, oltretutto con enormi difficoltà di approvvigionamenti e di collegamenti e notevoli problemi di ogni genere, affronti in modo sistematico una problematica addestrativa e concettuale con un respiro così ampio, non può non destare meraviglia ed essere segno di una capacità organizzativa di spessore, sostenuta da uno spirito degno di nota.

Il fatto che tale produzione sia improntata ad un taglio strettamente operativo e di formazione morale del soldato-combattente e non raggiunga le vette di una "serie" dottrinale (2) in senso pieno non ne sminuisce per nulla la validità.

(2) la "dottrina" è il complesso concettuale e normativo che in un dato momento storico informa l'intera concezione della vita operativa, tattica e logistica di un Forza Armata, in relazione alla strategia complessiva, alle condizioni geopolitiche ed alla capacità dello strumento militare. Essa si esprime in una "serie" di pubblicazioni che riguardano gli aspetti sia fondamentali che di dettaglio dell'organica, della tattica e della logistica per tutte le Armi, Specialità e attività di una Forza Armata.


Non avrebbe infatti avuto senso alcuno esprimere lo sforzo di concepire e realizzare una dottrina autonoma, e ciò per vari ordini di motivi:

- la X^ M.A.S., nella sua più volte affermata autonomia, non era destinata a partecipare alla manovra delle forze nella battaglia (3) ma solo a prendere parte al combattimento, da altri deciso e per lo più imposto dalla soverchiante azione del nemico;

- la Grande Unità aveva una vocazione spiccatamente tattica (4) ed offensiva. Possedeva, invero, un notevole valore strategico (5) nel suo impiego sul campo, ma sempre a favore e nell'ambito della manovra di ben altre forze;

- non era assolutamente ipotizzabile, per tale Divisione, raggiungere la capacità di esprimere azioni che autonomamente potessero aver valore di manovra in senso pieno, sia per il pur sempre limitato, ancorché corposo, volume di forza, sia per le ridottissime possibilità di movimento e di autonomia logistica (6) concesse dal disastroso stato in cui versava l'intera struttura militare della R.S.I..

(3) la "battaglia" è un complesso coordinato di azioni tattiche finalizzato al raggiungimento di un obiettivo di natura strategica.

(4) la "tattica" è la parte dell'Arte Militare che afferisce la conduzione di atti singoli nell'ambito della battaglia, e cioè del combattimento.

(5) la "strategia" è la branca dell'Arte Militare che inerisce la conduzione della battaglia, ed il raggiungimento -quindi- di scopi che incidono sulla guerra nel suo complesso.

(6) la "logistica" è la disciplina dell'Arte Militare che si occupa di tutto ciò di cui necessita ad una formazione militare per vivere, muovere e combattere.


Tutto ciò è confermato dalla storia dell'impiego della Divisione, di fatto mai avvenuto a ranghi completi in una specifica battaglia ma per singoli reparti o per Gruppi di Combattimento.

Dobbiamo, peraltro, osservare che le forze di terra della R.S.I. erano, nel loro complesso, prive di autonoma capacità di manovra di battaglia degna di tale nome, mentre la Marina -alla quale la Decima Flottiglia pure in teoria avrebbe dovuto appartenere- in pratica non possedeva naviglio.

Oltre alle limitazioni oggettive, che avrebbero reso inutile una specifica produzione dottrinale, lo spirito stesso della X^ M.A.S. escludeva ogni altra cosa che non fosse il combattimento "in avanti", con ciò già compiendo una precisa scelta concettuale, le cui implicazioni dottrinali sono del tutto scontate: attacco ad ogni costo e mantenimento dell'atteggiamento offensivo anche nelle azioni di difesa.

Nondimeno, la pubblicazione in esame contiene le minime nozioni dottrinali indispensabili alla conduzione degli atti tattici, alla cui preparazione era destinata.

Non si può, poi, prescindere dal fatto che la Flottiglia traesse le sue origini da un'unità di Marina. Certo si trattava di unità del tutto anomala, ma pur sempre di marina. Il suo Comandante, il Principe Borghese, veniva dai sommergibili. E' pur vero che la Regia Marina ha sempre avuto anche tradizioni per così dire terrestri, come ampiamente dimostrato dalle unità che nel tempo portarono il glorioso nome di "S. Marco", eredi dei "fanti da mar" della Serenissima Repubblica, ma è altrettanto vero che si trattava in ogni caso di unità destinate ad operare in ambito squisitamente tattico e comunque finalizzato all'esercizio di ciò che nelle Scienze Militari si chiama "potere navale". Anche la storia, quindi, e la tradizione spingevano verso una concezione limitata al combattimento e non già estesa alla battaglia. D'altro canto, ancor oggi le unità anfibie sono destinate a questo, e non solo nelle nostre Forze Armate. Vi è un unico caso di Forza Armata con autonome capacità di battaglia che muova attorno ad unità anfibie, il Corpo dei Marines della Marina degli USA, che conserva comunque una spiccata vocazione offensiva.

 

.: premessa

Si articola su sette punti ed una conclusione. Secondo il classico schema delle istruzioni militari, perfettamente rispondente alla logica sistematica, l'esordio della premessa è costituito dall'illustrazione dello scopo dell'addestramento al combattimento, individuato in tre punti essenziali costituenti i cardini della dottrina: capacità tattica, abilità tecnica e spirito di organizzazione. Queste abilità devono essere create nel combattente e sviluppate nel più deciso dei modi.

In linea con lo spirito della X^, il secondo punto esplicita con decisione la non tassatività delle istruzioni che si impartiscono nella pubblicazione, che richiedono l'adattamento alle variabili dei problemi tattici. Emerge qui nettamente uno degli elementi di contrapposizione tra la Grande Unità ed il complesso della "tradizione" militare italiana come appariva all'epoca. La struttura militare, infatti, appariva ingessata in una dottrina improntata a rigidità e schematismi che avevano finito col paralizzare la capacità tattica delle unità nel combattimento. Questo fatto era aspramente criticato dalla X^, che sul punto si opponeva strenuamente in ogni settore, dal rifiuto della burocratizzazione al rigetto della gerarchia stessa classicamente intesa. Basti pensare che nella Flottiglia gli avanzamenti erano espressamente bloccati: le promozioni sarebbero state un problema del dopoguerra, dato che la gravità della situazione imponeva di lasciar perdere tutto ciò che non fosse essenziale per la condotta delle operazioni.

Particolarmente significativo è il n. III. In esso si definisce, con linguaggio moderno e tuttora insuperato, il Comandante come "naturale" istruttore del personale dipendente. La scelta tra tecnicismo dell'istruzione -e quindi specializzazione degli istruttori- e visione complessiva dell'azione di Comando è netta e chiara.
Di più, si afferma che i superiori devono pretendere la competenza e tutelare il prestigio dei Comandanti ai vari livelli, massimizzando in essi le qualità morali che costituiscono il contenuto dell'arte del comando. E qui emerge prepotentemente l'essenza stessa della concezione della guerra per la X^: tra esse qualità, in primo luogo sono "il sentimento della responsabilità e il culto del rischio".

Questa visione e questa terminologia (riportata integralmente in corsivo) rendono immediatamente il carattere e l'impronta dello spirito stesso che animò la X^ e ne fece la più agguerrita ed efficace tra le unità italiane sui due fronti.

Si tratta della più consapevole e matura espressione dottrinale, nella sua scarna enunciazione, delle doti richieste in battaglia ad un Comandante degno di tale nome, scevro da timori, schematismi e tentennamenti. Pur essendo immediatamente comprensibile che un tale spirito si confaceva perfettamente alle disperate ed ultimative condizioni nelle quali si richiedeva alla X^ di combattere, non si può non osservare che in tali termini si sostanzia il segreto delle vittorie dei grandi Generali che la Storia Militare da sempre ha fatto oggetto di studio. Il pur prudente inventore della logistica (e forse della stessa strategia), Scipione l'Africano, vinse perché osò portare guerra nel cuore del territorio nemico, rischiando il tutto per tutto ed assumendosi l'enorme responsabilità di puntare su tale azzardo la vita stessa di Roma.

Le condizioni di efficacia dell'addestramento, poi, sono enunciate al punto IV, ed individuate nella perfetta conoscenza di procedimenti e mezzi e nella fiducia assoluta nei Capi, nella dottrina e nelle armi. Sebbene tali elementi appaiano logica premessa all'apprendimento efficace, lasciano trasparire con netta evidenza altri due caratteri tipici della Flottiglia. Uno è quello della centralità dell'elemento morale, quasi fideistico, prevalente addirittura su quello tecnico. Se non sorretto dalla piena coscienza della grandezza, dell'intrinseco valore e della necessarietà del proprio Dovere, un soldato non vale nulla. Il secondo e quello legato ad una grande questione che ha da sempre animato il dibattito sulla X^, e cioè la connessione diretta tra l'Unità ed il suo Comandante, il Principe Borghese.

Vero è che l'affermazione della pubblicazione è del tutto generale e fa riferimento ai Capi, parlando al plurale, alla dottrina ed alle armi, ma è altrettanto vero che i Capi sono nominati con la lettera maiuscola e non con il termine Comandanti, che altro valore lessicale avrebbe avuto. Si tratta, certo, di un retaggio semantico dell'epoca, si tratta anche di un termine inequivocabile, dato che in Marina il termine Comandante ha un valore diverso dalla sua comune accezione, ma si tratta comunque del termine "Capi", che in quanto tali sono emanazione del Capo sia per nomina che per riflesso della concezione stessa dell'autorità. E si tratta, invero, anche della medesima concezione globale e totalizzante del Comando, che è di una modernità assoluta e sconcertante: il Comandante come luogo geometrico di ogni autorità, di ogni sollecitudine, il pimus vir che per le sue intrinseche, eccezionali doti primeggia e provvede.

Nel medesimo punto IV, poi, si danno concrete linee guida sull'impostazione che l'addestramento deve avere per ottenere gli scopi che si prefigge:

- la razionale organizzazione delle istruzioni secondo criteri di semplicità, gradualità e coordinamento, così da ottimizzare gli esiti e rendere omogenea l'istruzione per tutte le differenti personalità e gradi di cultura dei discenti;
- l'adeguamento della forza partecipante allo scopo dell'istruzione;
- la diversificazione degli ambienti addestrativi per terreno e condizioni meteorologiche, in modo tale da rendere reale l'ambiente addestrativo e da fornire una solida preparazione alle variabili tattiche del combattimento;
- l'aderenza delle situazioni addestrative alla realtà della guerra.

Il successivo punto V, partendo dalla varietà dei sistemi d'arma, tratta della necessità della specializzazione. Questo concetto potrebbe apparire contrastante con il concetto totalizzante che informa tutto lo spirito dell'addestramento della X^, ma subito viene precisato che la specializzazione va intesa come forma di eccellenza nell'impiego di almeno un mezzo, ferma restando la necessità di conoscere bene tutti quelli che abbiano affinità tattiche.

Il VI paragrafo fornisce i criteri di valutazione che devono essere impiegati nella valutazione dell'esito finale dell'addestramento. Le esercitazioni congiunte con altre armi e specialità, in particolare con l'artiglieria, devono dare la prova dell'amalgama e della reciproca conoscenza dei rispettivi procedimenti di azione, evidenziando "quell'unità di dottrina e quell'identità di linguaggio che sono il presupposto di ogni armonica azione". Le esercitazioni devono essere effettuate, ovviamente, con organici di guerra e con fuoco di guerra.
Il concetto di fuoco di guerra è cosa distinta dall'uso di munizionamento da guerra. Esso infatti investe la disciplina del fuoco e non solo l'uso di munizionamento reale. Si parla quindi di distanze tra reparti, di sovrapposizione dei settori di tiro, di aderenza del fuoco di appoggio sia dell'artiglieria che delle armi di reparto.

Si comprenderà, quindi, che un tale concetto non solo rientra nel principio dell'aderenza dell'addestramento alle situazioni reali (vds. prec. punto IV) ma va oltre, annullando ogni possibile differenza tra le esercitazioni finali ed il caso di impiego reale, implicando l'espressa rinuncia a quel principio della sicurezza cui le esercitazioni sacrificano tanta parte della loro simiglianza alla realtà negli eserciti "convenzionali", ivi compresi quelli per i quali la guerra non è una remota eventualità. Raffrontando la cosa coi tempi di oggi, gli unici eserciti che ispirano la loro azione addestrativa ad un simile canone sono quello israeliano -le cui pianificazioni di esercitazione prevedono il numero dei caduti- e quello sovietico, nel quale semplicemente non si considerava per nulla il valore della vita umana.

L'ultimo punto della Premessa, il VII, fa rinvio, per i procedimenti da seguire nello svolgersi dell'addestramento, al "Regolamento d'istruzione", del quale ahimè non è stato possibile finora avere traccia alcuna.

La grandezza e l'originalità della pubblicazione e del suo spirito, però, non sono contenuti solo nei sette punti della premessa, ma ancor più nella sua chiusa, stampata in corsivo, che sarebbe assurdo voler parafrasare:

"L'applicazione, per quanto intelligente, delle norme e dei criteri qui contenuti non potrà mai raggiungere gli scopi che l'addestramento si ripromette, se non sarà vivificata da una lucida comprensione dello spirito che anima tutta la nostra dottrina: ANDARE AVANTI! "

 

.: il profilo di Manuel di Casoli

Nasce ad Asiago (VI), il 4 luglio 1965. Nel 1981 entra alla Scuola Militare "Nunziatella" di Napoli, dove è Capo Corso. Frequentati il 168° Corso presso l'Accademia Militare di Modena e la Scuola di Applicazione, consegue la nomina a Tenente in spe dei Carabinieri.
Presso il Reggimento Carabinieri a Cavallo, è Comandante di Plotone e poi di Squadrone. Comanda poi il Nucleo Operativo e la Compagnia Carabinieri a Messina, con il grado di Capitano, e le Compagnie di Taurianova (RC) e Roma - Parioli.
Laureato in Giurisprudenza, è Cavaliere del S. Sepolcro, Guardia d'Onore alle Tombe Reali, paracadutista e subacqueo. Il 1° gennaio del 2000 rassegna le proprie dimissioni, non ritenendo conforme al proprio Onore Militare continuare a servire uno Stato privo di morale ed un'Istituzione che tradisce se stessa.
Attualmente è Dirigente presso un gruppo commerciale a Milano, dove vive con la propria famiglia.

 

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